Corriere 3.11.16
Così la giudice Dorigo può inviare alla Consulta il ricorso di Onida
Ldi uigi Ferrarella
«La
notizia della mia morte è fortemente esagerata», risponderebbe il
referendum — come Mark Twain al prematuro annuncio della propria
dipartita — se fosse paragonabile il rinvio del 4 dicembre, oggetto
delle chiacchiere nei tam tam politici come supposta conseguenza
dell’altrettanto supposto esito della decisione del Tribunale di Milano.
Nel valutare il ricorso dei professori Barbara Randazzo e Valerio
Onida, neanche volendo la giudice civile Loretta Dorigo potrebbe infatti
sospendere il voto. Al massimo, accertando il diritto degli elettori a
partecipare al referendum nel rispetto di una libertà di voto violata
invece dall’eterogeneità del quesito, può domandare alla Consulta di
dichiarare che la legge del 1970 sui referendum sia incostituzionale
nella parte in cui non prevede che il voto debba svolgersi su quesiti
omogenei.
Affinché si blocchi il voto del 4 dicembre, però, questo
presupposto non basterebbe, visto che poi occorrerebbe che la Consulta,
qualora investita da Dorigo del giudizio di costituzionalità, decidesse
intanto di sospendere il referendum. Ma per farlo dovrebbe ritenere di
averne il potere, e invece è controverso che ce l’abbia: infatti, mentre
nella legge del 1953 che regola il funzionamento della Corte
costituzionale una norma le attribuisce il potere di sospendere («per
gravi ragioni») gli atti che abbiano dato origine a conflitti di
attribuzione tra Stato e Regioni, una norma espressa non esiste per i
referendum, sicché per lo stop del 4 dicembre si deve immaginare che la
Consulta si produca in un triplo salto mortale. Primo: che adoperi
l’analogia (categoria delicata) per riconoscersi il potere di sospendere
un referendum in analogia appunto con il potere che ha nei conflitti di
attribuzione Stato-Regioni. Secondo: che d’ufficio ritenga di
esercitare questo potere per sospendere il voto del 4 dicembre. E terzo:
che faccia in tempo a farlo, cosa già messa in dubbio da conteggi
tempistici per i quali la Consulta avrebbe potuto farcela solo se il
Tribunale le avesse rimesso la questione entro ottobre.
In linea
puramente teorica (e sempre in caso di ok del Tribunale al ricorso di
Onida) resterebbe una sola possibilità di stop del voto, ma ancor più
audace delle altre: l’idea (evocata da Onida in Tribunale) che — nel
timore di una futura dichiarazione di incostituzionalità della legge sui
referendum — il Presidente della Repubblica ritenga, in sede di
autotutela, di revocare egli stesso il proprio decreto con il quale il
27 settembre aveva indetto la data del referendum. Ma anche qui, prima
ancora di lambiccarsi sui reconditi pensieri del Capo dello Stato, si
parerebbe l’ostacolo che il suo decreto è atto dovuto meramente formale
di recepimento di una volontà politica, la cui responsabilità è assunta
dal presidente del Consiglio con le proposta e controfirma della
delibera approvata il 26 settembre dal Consiglio dei ministri.