Repubblica 3.11.16
Riforma illegittima di un Parlamento illegittimo
di Alessandro Pace
L’autore è il Presidente del Comitato per il No nel referendum costituzionale
LA
RAGIONE che già di per sé sola dovrebbe indurre gli elettori a votare
No nel prossimo referendum costituzionale, è che il Parlamento eletto
per la XVII legislatura è stato dichiarato radicalmente illegittimo
dalla Consulta, avendo l’abnorme premio di maggioranza previsto dal
Porcellum determinato un’«eccessiva sovra- rappresentazione della lista
di maggioranza relativa», in violazione della rappresentanza elettorale,
della parità del voto dei cittadini e della stessa sovranità popolare
(così la Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014). Infatti,
per limitarci agli esempi più rilevanti, grazie al Porcellum, il Pd
anziché 165 seggi ottenne 292 seggi, mentre il PdL anziché 148 seggi ne
ottenne 97, la lista Monti anziché 57 ne ottenne 37 e il M5S anziché 166
ne ottenne 108. In forza degli ovvii fondamentali principi delle
democrazie parlamentari, avrebbe quindi dovuto disporsi l’immediato
scioglimento delle Camere da parte del Presidente della Repubblica e la
convocazione dei comizi elettorali per un nuovo Parlamento.
Tuttavia
la Corte costituzionale — alla luce dell’altrettanto ovvio principio
secondo il quale le leggi elettorali sono «”costituzionalmente
necessarie”, in quanto “indispensabili” per assicurare il funzionamento e
la continuità degli organi costituzionali» — opportunamente avvertì che
lo scioglimento delle Camere non avrebbe potuto avvenire se non dopo
l’approvazione di nuove leggi elettorali, rispettose della
rappresentanza elettorale e della parità del voto.
Pertanto, le
leggi che fossero state successivamente approvate nella XVII legislatura
— ancorché viziata — , avrebbero dovuto essere considerate legittime
grazie al «principio fondamentale della continuità dello Stato» e dei
suoi organi costituzionali (così, ancora, la Corte): un principio che
però — si badi bene — non si pone, né si può porre, come “alternativo”
al principio democratico: irrispettoso del voto popolare come fonte di
legittimazione dell’operato delle Camere. Il che è tanto vero che nelle
ultimissime battute della sentenza n. 1 del 2014, la Corte, nel
richiamare gli articoli 61 e 77 della Costituzione, fa chiaramente
comprendere che il principio della continuità avrebbe potuto valere
tutt’al più per pochi mesi.
Ciò nondimeno, appena quattro mesi
dopo la pubblicazione della sentenza della Consulta e due mesi dopo la
costituzione del suo governo, il premier Renzi dava irresponsabilmente
inizio ad un percorso di riforma costituzionale, che le opposizioni
immediatamente e ripetutamente criticarono, in via preliminare, sia al
Senato (e poi anche alla Camera), perché il disegno di legge Boschi si
poneva in plateale contrasto con la sentenza della Corte costituzionale.
Notevole e assai importante, in tal senso, è il documento contenente la
questione pregiudiziale posta dai senatori Crimi, Endrizzi, Magili,
Morra e altri (M5S), presentato il 4 luglio 2014, ovviamente respinto
dalla maggioranza.
È bensì vero che, in quei primi mesi del 2014,
lo scioglimento anticipato delle Camere avrebbe portato alle stelle lo
spread nei confronti del Bund tedesco e quindi in quel momento era
sconsigliabile. Tuttavia altro è continuare, nell’ordinaria funzione
legislativa e di controllo, con un Parlamento delegittimato, ma per un
periodo limitato del tempo, altro è l’azzardo istituzionale di dare
inizio ad una mega riforma costituzionale con un Parlamento viziato
dall’«eccessiva sovra-rappresentazione della lista di maggioranza
relativa», con parlamentari “nominati” insicuri di essere rieletti e
perciò esposti alla mercé del migliore offerente (le migrazioni da un
gruppo all’altro sono state ben oltre 300!).
Non sto qui a
ricordare le palesi violazioni procedurali che hanno costellato il
procedimento di riforma costituzionale (irrituali sostituzioni di
componenti della Commissione Affari costituzionali del Senato,
privazione delle opposizione del diritto di avere un relatore di
minoranza, applicazione del metodo del “super canguro” per porre fuori
gioco gli emendamenti delle opposizioni, e così via) che hanno abbassato
il disegno di legge Boschi a livello di una qualsiasi legge ordinaria,
né sto a lamentare ancora una volta le plateali violazioni
costituzionali poste in essere dalla riforma Boschi da me ripetutamente
evidenziate in questo giornale. È infatti sufficiente ricordare che
questa riforma — pasticciata e incostituzionale perché viola
l’elettività diretta del Senato, il principio di eguaglianza e di
razionalità nella composizione del Senato, la rilevanza costituzionale
delle autonomie regionali e così via — è stata criticata da ben dieci ex
presidenti e da dieci ex presidenti della Corte costituzionale. Il che
non era mai accaduto finora.
Piuttosto è doveroso sottolineare
che, nonostante la sua gravità, la violazione della sentenza della Corte
e l’illegittimità della XVII legislatura sembrano esser state “rimosse”
dalla memoria dei sostenitori del Sì (penso all’intervista di Giorgio
Napolitano del 10 settembre su questo giornale) o, quanto meno,
“dimenticate” dai sostenitori del No (alludo a Massimo D’Alema, che
ritiene che la XVII legislatura andrebbe sciolta alla sua scadenza del
2018!).
La gravità dell’accaduto è invece tale da configurare —
qualora l’esito del referendum fosse positivo — un “fatto eversivo”
della vigente Costituzione, che pertanto inciderebbe, con la forza del
“potere costituente”, sui rapporti Stato-Regioni (e quindi sulla forma
di Stato), sulla forma di governo nonché sulla stessa Parte prima della
nostra Costituzione. Cioè sulle forme di esercizio della sovranità
popolare, sul principio di eguaglianza, sulla libertà di voto e sugli
stessi diritti sociali. Il che avverrebbe grazie ad un Parlamento privo
di contro- poteri, con un Senato ridotto ai minimi termini e incapace di
funzionare e con i diritti delle opposizioni rimesse ai regolamenti
parlamentari alla mercé della maggioranza.