Repubblica 2.11.16
Hillary e l’incubo dell’inchiesta penale Trump: “Se vince lei crisi costituzionale”
L’indagine dell’Fbi sulle email di Clinton potrebbe favorire i repubblicani al Congresso
Lo
scandalo rilancia The Donald nei sondaggi, ma ormai potrebbe essere
troppo tardi per la Casa Bianca Ma si vota anche per rinnovare la Camera
che la destra vuole trasformare in un “tribunale permanente”
di Federico Rampini
NEW
YORK SE VINCE Hillary avremo un presidente sotto procedimento penale. E
Putin si farà delle grasse risate ». Donald Trump nei suoi ultimi
comizi comincia a ragionare sul dopo-elezioni. A modo suo. Descrive lo
scenario nel caso in cui non vincerà lui, l’8 novembre. E non è un bello
spettacolo. «Ogni attività di governo si fermerà — dice il candidato
repubblicano — sarà la paralisi. Il paese si troverà in una crisi
costituzionale ». Trump è galvanizzato dalla rimonta nei sondaggi, ma sa
che la sua vittoria continua ad avere una bassa probabilità.
NEW
YORK IL LINGUAGGIO che usa è condiviso da molti altri repubblicani,
perfino quelli che detestano Trump. La paralisi la prevedono, o la
preparano, anche loro.
Molto prima che l’Fbi rilanciasse lo
scandalo delle email — il cui impatto sugli elettori è difficile da
misurare — da oltre due settimane i sondaggi avevano cominciato a
muoversi all’unisono: quasi tutti in direzione favorevole a Trump, nel
senso di ridurre il margine di vantaggio di Hillary. Che resta favorita,
ma nella media delle rilevazioni è scesa a tre o quattro punti di
scarto sull’avversario. Questa rimonta può essere iniziata troppo tardi
per le chance di Trump; in compenso può avere un impatto significativo
su tutte le altre elezioni dell’8 novembre. Quel giorno gli americani
rinnovano la Camera, e un terzo del Senato. All’epoca — appena un mese
fa — in cui Hillary aveva conquistato il massimo vantaggio nei sondaggi,
i democratici accarezzarono un sogno: riconquistare la maggioranza nei
due rami del Congresso. Ora, con Hillary in perdita di velocità e
qualche segnale inquietante sull’affluenza alle urne (come la bassa
partecipazione dei neri nelle votazioni anticipate della Florida),
quella speranza di fare un en plein di maggioranze legislative sembra
tramontata.
Per una parte della destra repubblicana l’obiettivo
numero uno è aggrapparsi al controllo della Camera. Sarebbe più che
sufficiente (anche nel caso che il Senato torni ai democratici) per
trasformare quel ramo del Congresso in un tribunale permanente contro
Hillary. Un incubo, tutt’altro che remoto. Obama potrebbe risolvere la
parte strettamente penale, con un perdono presidenziale al suo
successore eletto, gesto che lui può fare nell’interregno fra l’8
novembre e l’Inauguration Day del 20 gennaio. E già questo comunque non
sarebbe un bello spettacolo: una presidenza Hillary inaugurata
dall’amnistia della medesima. Anche in seguito al perdono la Camera
potrebbe continuare a promuovere inchieste per conto suo, e se non
proprio in uno scenario da “impeachment”, quanto meno per chiamare
continuamente a testimoniare sotto giuramento i principali collaboratori
della neo-presidente. È questa una possibile versione della «crisi
costituzionale» di cui parla Trump.
Un altro scenario, ancora più
favorevole alla destra, si sta materializzando nelle ultime ore via via
che il vantaggio di Hillary si assottiglia nei sondaggi. La destra
comincia a sperare di poter mantenere perfino una maggioranza al Senato,
sia pure esile. Le basterebbe un solo seggio per dare alla «crisi
costituzionale » un’ampiezza e una gravità ancora superiori. Il potere
più importante che ha il Senato è di approvare o bocciare le principali
nomine presidenziali. A cominciare dalla Corte suprema. Quest’ultima è
il terzo pilastro della democrazia americana il cui futuro è
indirettamente in ballo nel voto di martedì. In seguito alla morte del
giudice Antonin Scalia, l’attuale maggioranza repubblicana al Senato ha
rifiutato perfino di esaminare il candidato di Barack Obama per quel
posto. La Corte suprema è già in una semi-paralisi perché c’è parità
assoluta fra membri repubblicani e democratici. Questo stallo potrebbe
prolungarsi all’infinito. Lo ha minacciato perfino un repubblicano
anti-Trump, il senatore dell’Arizona John McCain: «Faremo di tutto per
impedire che una presidente Hillary nomini un giudice».
L’impossibilità
di raggiungere intese bipartisan, e l’ostruzionismo, sono da anni
malattie endemiche della democrazia Usa. I postumi di questa campagna
elettorale, anche in caso di vittoria di Hillary, potrebbero non
sfociare affatto su un ravvedimento dei repubblicani. La dinamica
elettorale è perversa: quei repubblicani che possono perdere il loro
seggio parlamentare di solito sono proprio i più moderati, eletti in
collegi dove c’è un’opinione pubblica centrista e indipendente. Inoltre
il calendario elettorale è perverso: la Camera viene rinnovata ogni due
anni, come pure un terzo del Senato. Se mai sarà Hillary a fare il
giuramento nell’Inauguration Day del 20 gennaio, quel giorno scatterà il
conto alla rovescia verso l’elezione di mid-term: novembre 2018. E avrà
inizio la gara a paralizzare la Clinton, se non addirittura a
processarla in permanenza davanti alla nazione.