Repubblica 28.11.16
Le Figaro
Serve più democrazia contro il populismo
di Nicolas Baverez
A
VENTICINQUE anni dalla disgregazione dell’Unione Sovietica, le
illusioni sulla fine della Storia e il trionfo della democrazia sono
ormai svanite, per cedere il posto a una grande angoscia. Le nazioni
libere, che si credevano eterne, si riscoprono invece mortali: bersaglio
della jihad, soggette alla concorrenza dei Paesi emergenti e alle
pressioni delle “democrature”, destabilizzate da una recrudescenza dei
populismi senza precedenti dagli anni ‘30 — come dimostrano la Brexit e
l’elezione di Donald Trump.
Si definiscono populisti i movimenti
contestatari guidati da capi carismatici che cavalcano confusione e
sconcerto davanti a grandi sconvolgimenti storici, per esacerbare le
passioni identitarie e istigare il popolo contro le élite. La loro
capacità di seduzione fa leva sull’esaltazione di idee semplicistiche e
ingannevo-li: protezionismo, nazionalismo, xenofobia.
Le ragioni
dell’onda d’urto populista sono note. Da un lato la stagnazione dei
redditi, la povertà e le disuguaglianze in crescita dal 2008; dall’altro
le ansie suscitate dalla rivoluzione digitale che ridisegna le imprese e
i posti di lavoro, la crescente insicurezza interna ed esterna. Emerge
così sotto i nostri occhi una situazione nuova, ad alto rischio. Sul
piano economico si apre un ciclo di de-globalizzazione, sotto il segno
del protezionismo, di una ripresa dell’interventismo statale e del
rialzo dei tassi d’interesse. Su quello strategico il jihadismo, sulla
difensiva in Iraq e in Siria, si avvia a una nuova mutazione, nel cuore
delle società sviluppate. Sul piano geopolitico, le democrature — Cina,
Russia, Turchia — vedono un’occasione per accelerare la propria
espansione a fronte di un Occidente diviso, che dubita dei suoi valori e
rimette in discussione le alleanze su cui si fondava la sua sicurezza,
definite da Trump «obsolete e costose».
Per rispondere a queste
sfide, le democrazie devono innanzitutto opporre resistenza alla
corruzione e alle divisioni interne. I demagoghi, al pari degli
autocrati, traggono forza dalla debolezza delle nazioni libere; ma una
volta spente le illusioni iniziali non provocano altro che rovine, come
si è visto nell’Argentina dei Kirchner e nel Venezuela chavista. Lo
scoprono anche i britannici, con la crisi istituzionale, politica ed
economica determinata da Brexit; e gli americani si preparano a loro
volta a fare quest’amara esperienza. La chiusura delle frontiere e
l’interventismo statale finiscono sempre per frenare crescita e
investimenti, con perdita di posti di lavoro, aumento di inflazione e
povertà, arretramento dello stato di diritto.
Ma per combattere i
populismi non si può certo attendere il loro fallimento annunciato.
Esclusione, insicurezza e perdita d’identità sono le tre mammelle del
populismo. La stagnazione economica e il declassamento di interi settori
della popolazione stanno minando la democrazia. È indispensabile
rilanciare una crescita inclusiva che comprenda le infrastrutture, gli
alloggi, la salute, e soprattutto la scuola e la formazione, che restano
gli strumenti più validi per promuovere l’occupazione e preparare
cittadini responsabili. Dovremo immaginare un nuovo contratto sociale
tra lo Stato, le imprese e gli individui. La sicurezza, condizione prima
della libertà e garanzia della pace civile, deve fondarsi su strategie
globali per mobilitare, oltre alle politiche pubbliche, anche le imprese
e i cittadini. Infine, la chiave di volta resta la solidità dello Stato
di diritto, che va promossa attraverso il miglioramento della
rappresentatività della classe politica e della qualità del dibattito
pubblico.
Dopo la Brexit e l’elezione di Trump, l’Europa si trova
in prima linea nella resistenza al populismo. Il miglior modo per
batterlo è proseguire la costruzione dell’Unione Europea. L’Europa deve
prendere in mano il proprio destino. Nella battaglia tra democrazia e
populismo, il referendum italiano, le prossime elezioni presidenziali
francesi e quelle legislative in Germania rivestiranno un’importanza
cruciale. Sulla Francia pesa una responsabilità particolare: le
presidenziali del 2017 non saranno solo l’ultima chance per un
risanamento pacifico, ma costituiranno anche un’occasione per arginare
l’ondata populista, scegliendo la via del riformismo e della ragione
contro le passioni violente e il regresso.
L’autore è un giornalista di “ Le Figaro” © LENA, Leading European Newspaper Alliance (Traduzione di Elisabetta Horvat)