Repubblica 28.11.16
Il piano R
Se sconfitto, il premier tenterà di tornare alle urne
Ecco come. E chi cercherà di impedirlo
di Goffredo De Marchis
ROMA.
In caso di vittoria del No, Matteo Renzi continua a pensare al voto
anticipato nel 2017. Per una questione caratteriale: «Io non mi ci vedo a
fare il segretario del Pd per un anno e più sostenendo un altro governo
che sarà bombardato da Grillo e Salvini perché non eletto». E per un
calcolo che a Palazzo Chigi stanno facendo da molti giorni: «Con una
sconfitta di misura, il 45-48 per cento sono voti riconducibili a me e
al Pd». Numeri sufficientemente incoraggianti per affrontare una sfida
elettorale contro una compagine molto variegata e dove il vero dominus
sarebbe Beppe Grillo.
Lo scioglimento delle Camere è veramente il
nodo più difficile da districare nei tanti scenari post 4 dicembre. A
cominciare dal fatto che le elezioni anticipate sono nella disponibilità
del capo dello Stato Sergio Mattarella e che dal Quirinale è già
filtrato il mood presidenziale: cercare in ogni modo di arrivare alla
scadenza naturale della legislatura, ovvero febbraio 2018. Umore
espresso pubblicamente dal ministro della Cultura Dario Franceschini,
molto vicino al capo dello Stato. Ma il Colle fa filtrare che il pallino
è nelle mani di Renzi, che la via d’uscita alla bocciatura della
riforma costituzionale passa innanzitutto dal premier e segretario del
Pd, un partito che solo alla Camera conta 312 deputati, più altri 100
senatori. E un governo, qualsiasi governo, ha bisogno di una maggioranza
parlamentare per sopravvivere. Questa è la vera partita tra Renzi e il
Colle. Comincerà all’indomani del 4 dicembre sempre che non vinca il Sì.
Il
sentiero meno impervio per giungere a questo risultato è accettare il
reincarico da parte di Mattarella, avviare le operazioni per una nuova
legge elettorale, tenere insieme il Pd, convincere gli alleati
dell’esecutivo (Ala e Ncd) che l’unica soluzione praticabile è il voto
nella primavera nel 2017. Insomma, non ritirarsi a Rignano, come
promesso ormai molti mesi fa, ma nemmeno vivacchiare, mettendosi invece
subito in gioco e accettando la sfida delle urne.
Le variabili,
come si vede, sono molte, forse troppe, e gli ostacoli ancora di più.
Renzi però pensa soprattutto a questo orizzonte quando dice, anche al di
là della propaganda, che non subirà mai un governo tecnico, un
governicchio, un inciucio.
Del resto è difficile vedere, con
questo Parlamento, un governo tecnico sul modello Monti. Con quale
maggioranza? Pd e 5 stelle insieme? Con Forza Italia e il Pd uniti?
Renzi dunque lo nega non solo come spauracchio per spostare gli indecisi
sul Sì. È un’ipotesi complicatissima da realizzare, il segretario del
Pd non avrebbe problemi a stopparla. Semmai il pressing su Renzi è un
altro. Viene dal partito, dalla sua pancia profonda e prevede un’altra
strada. Non le elezioni anticipate.
Il premier resta leader dem e
propone un governo politico. Un Renzi bis senza Renzi con Delrio o
Padoan a Palazzo Chigi. Il governo nasce su un non detto: la durata. In
realtà “vede” il traguardo del 2018. Nel frattempo Renzi fa il
segretario a tempo pieno, gira l’Italia, prepara il congresso del Pd
dove rimane il superfavorito e si ricandida alla guida dell’esecutivo.
Questo suggerimento gli arriva ormai da molte parti, principalmente da
alcuni dirigenti del suo partito che “misurano” anche la resistenza dei
gruppi parlamentari del Pd allo strappo del voto anticipato. Come dire:
non è sicuro che i dem seguiranno il leader sulla china del voto a
primavera. Il Renzi bis senza Renzi garantisce la stabilità, serve a
preparare una rinvincita nel 2018. «Fa un po’ il democristiano - spiega
un deputato amico -. Lui alla segreteria che dà le carte, un suo uomo
alla presidenza del Consiglio. Altrimenti possono esserci prospettive
peggiori perché soluzioni, anche senza di lui, si possono sempre
trovare. E non tecniche».
Mentre Renzi è pancia a terra per
colmare lo svantaggio e ai suoi professa ottimismo sulle possibilità di
rimonta, qualcuno infatti pensa già al dopo. Certo, l’idea di sostenere
un altro al suo posto è estranea alla sua grammatica. La sua prima
scelta, nel caso, ricadrebbe su Pier Carlo Padoan, l’unico del quale
Renzi non avvertirebbe l’ombra allungarsi sul Pd e sulle sue ambizioni.
Ma
Padoan, fino a due anni e mezzo fa era all’Ocse. Anche con un esecutivo
di ministri politici, avrebbe il sapore di una scelta “tecnica”.
Graziano Delrio rappresenta l’alternativa, ma una figura come il
ministro delle Infrastrutture, sarebbe davvero così neutra rispetto alla
lunga battaglia congressuale e alla ricandidatura? La risposta dei
renziani è no.