Repubblica 28.11.16
Il dopo voto e il modello-Dini
di Stefano Folli
SOLO
un ottimista irriducibile può credere che gli ultimi giorni della
campagna serviranno a fare chiarezza e a rendere meno limaccioso il
confronto elettorale. Al contrario, ormai i due campi ripetono con
monotonia le rispettive litanie: più che a nuovi argomenti, si affidano
alle dimostrazioni di forza (i raduni in piazza) e alla presenza nei
mass media.
CHI riesce a conteggiare un maggior numero di ore
televisive — e qui il fronte del Sì è in vantaggio — ritiene di poter
convincere più elettori degli avversari. Ma è ovviamente una speranza
senza verifiche possibili.
Qualche novità emerge invece quando ci
si proietta oltre il 4 dicembre. Renzi ieri ha delineato il «serio
rischio» che l’eventuale vittoria del No porti a un «governo tecnico».
Espressione generica in cui si riassume l’ipotesi di un esecutivo non
più guidato da lui e incaricato di traghettare il Paese. Verso dove?
Verso la fine della legislatura ovvero le elezioni anticipate. In realtà
la nebbia, anziché diradarsi, s’infittisce. Siamo ancora e sempre
dentro il perimetro della campagna elettorale, per cui gli scenari
relativi al dopo-voto sono finora strettamente funzionali a spaventare o
magari blandire gli elettori indecisi.
In questo caso
l’intenzione è di spaventarli con uno scenario dominato dall’instabilità
e dall’incertezza. Quell’incertezza che i mercati finanziari già stanno
scontando con lo spread e gli indici di Borsa. Comunque sia,
l’espressione «governo tecnico» da sola non dice molto, anzi dice troppo
poco. Renzi ne parla come di una soluzione a lui non gradita, un
prodotto inevitabile e dannoso della sconfitta nelle urne. Ma le
possibili, forse inevitabili dimissioni del premier non apriranno in
modo automatico la strada al cosiddetto “tecnico”. Perché dovrebbero? In
Parlamento esiste alla Camera una solida maggioranza politica
Pd-centristi-verdiniani. Al Senato i numeri sono più sottili, ma nel
complesso il governo ha sempre retto. Questa maggioranza ha tutti i
numeri per affrontare i prossimi mesi che saranno segnati da due
priorità: la condizione economica, con l’esigenza di ricucire la
polemica, vera o presunta, con l’Europa e la crisi bancaria; e
ovviamente la legge elettorale, che sarà soprattutto responsabilità del
Parlamento.
Difficile che in queste condizioni si possa parlare di
un governo tecnico come sinonimo di un esecutivo “del presidente”,
imposto cioè dal Capo dello Stato quale risposta d’emergenza per ovviare
alla paralisi dei partiti. Nel nostro dopo 4 dicembre la maggioranza
c’è e si presume che non avrà tanta voglia di essere dissolta insieme al
Parlamento per correre alle urne. Non a caso, se Renzi non fosse
disponibile a succedere a se stesso con una compagine rinnovata (ma è
tutto da verificare, ciò che si dice in questi giorni non sempre fa
testo), si parla di un incarico a Padoan, ossia il ministro
dell’Economia dell’attuale governo. È una situazione che ricorda il
mandato a Lamberto Dini dopo la caduta di Berlusconi all’inizio del
1995. Anche allora il responsabile della politica economica fu il
prescelto. Anche allora il governo sviluppò un suo programma, prendendo
in parte le distanze da Berlusconi, e alle elezioni si andò oltre un
anno dopo. Nessuno parlò di governo tecnico.
Senza dubbio un
eventuale esecutivo affidato dal Capo dello Stato al ministro del Tesoro
e delle Finanze troverebbe la sua ragion d’essere nella politica
economica e non avrebbe motivo di precipitarsi al voto. A meno che il
partito di maggioranza, il Pd ancora guidato da Renzi, non lo faccia
incespicare. Ma sarebbe un azzardo macroscopico, forse persino una sfida
al Quirinale. In ogni caso è presto per speculare. Quel che è certo,
gli esiti politici post-referendari dipendono molto dalla forbice fra il
Sì e il No. Una vittoria di stretta misura dell’uno o dell’altro fronte
renderebbe più facile il compito di Mattarella, volto a riunire il
Paese. Viceversa, una vittoria a valanga di una delle due ipotesi in
campo potrebbe avere effetti destabilizzanti. Un super-No renderebbe
impossibile a Renzi mantenere il governo e a quel punto anche il Pd. Un
super-Sì porrebbe analoghi problemi perché la tentazione di stravincere
sarebbe irresistibile per Palazzo Chigi. Quando invece servirebbe
moderazione ed equilibrio.