Repubblica 28.11.16
Il baratto del Cavaliere per il Nazareno 4.0
di Massimo Giannini
SCAMPATO
alla gogna fotografica escogitata dal presidente del Consiglio per
rappresentare l’«accozzaglia del No», Berlusconi azzarda l’ultimo salto
mortale. Rivendicare il No del suo partito a una riforma costituzionale
che porta anche la sua firma, e giustificare il Sì delle sue aziende
perché Mediaset sarebbe esposta a «ritorsioni ».
Un’equazione
impossibile, anche per un bugiardo seriale come lui. Lo scenario
post-referendario, qualunque sia l’esito del voto, ci consegna invece
un’altra, doppia verità. Le tv del Cavaliere potrebbero ricevere un bel
regalo. E Renzi-Berlusconi (populisti “miti” costretti a combattere
insieme contro i populisti “guerrieri” Grillo- Salvini) potrebbero
essere condannati a rinnovare il vecchio patto. Un Nazareno 4.0.
Cosa
vota, infatti, Berlusconi? Vale la risposta di Churchill sull’Urss: il
Cavaliere è un indovinello, avvolto da un mistero all’interno di un
enigma. Il suo «No deciso e responsabile» al referendum poggia su un
groviglio di contraddizioni, impossibili da far capire agli italiani.
Prima
contraddizione: la riforma della Costituzione, che oggi definisce «un
vulnus alla democrazia », è una copia impallidita di quella che lui
stesso impose al Parlamento nel 2005 e fece votare agli italiani nel
2006. La sua era ancora più “invasiva”: riscriveva 53 articoli della
Carta, attribuiva al premier il potere di sciogliere le Camere e
sfiduciare i ministri. Definire la riforma di allora «un capolavoro» e
quella di oggi «un atto di regime», è un pauroso testacoda.
Seconda
contraddizione: la legge costituzionale sulla quale voteremo ha due
padri. Renzi e Berlusconi la scrissero insieme, in otto incontri che nel
2014 cementarono il Patto del Nazareno. Il 18 gennaio, nella sede Pd,
ci fu «profonda sintonia» sulla «revisione del Titolo V, l’eliminazione
dei rimborsi ai gruppi consiliari regionali, la trasformazione del
Senato in Camera delle autonomie senza elezione diretta e la riforma
della legge elettorale». Il 14 aprile, a Palazzo Chigi, convennero il
via libera al testo «in Parlamento entro il 25 maggio». Sempre a Palazzo
Chigi, se lo confermarono il 3 luglio («abbiamo sistemato anche
l’Italicum») e poi il 6 agosto («Ormai ci siamo…»).
Due giorni
dopo la riforma passava in prima lettura al Senato, con i voti del Pd e
di Forza Italia. Il capogruppo Romani concionava: «Questa riforma, che
ci fa uscire dalle paludi ottocentesche, porta due firme: Renzi e
Berlusconi ». Dopo l’ultimo vertice, il 12 novembre 2014, il Cavaliere
ribadiva: «L’impianto è più solido che mai, concluderemo i lavori sulla
riforma costituzionale entro gennaio 2015». E proprio a dicembre, a
Palazzo Grazioli, me lo confermava personalmente, mostrandomi l’album
delle sue foto con i capitribù libici: «Il Patto del Nazareno è
d’acciaio: votiamo le riforme ed eleggiamo insieme il presidente della
Repubblica, che per noi è Giuliano Amato...».
La Storia, con
Mattarella al Quirinale il 31 gennaio 2015, ha poi preso un’altra piega.
Da allora, nelle successive cinque letture parlamentari della riforma,
Forza Italia ha votato sempre contro. Ma il testo non è più cambiato nei
fondamentali. Con che faccia il Cavaliere chiede adesso agli italiani
di bocciarlo, dopo che lo ha sottoscritto e salutato come «una svolta
storica», resta uno dei più straordinari cortocircuiti logici della sua
avventura politica.
Terza contraddizione: la “pessima riforma”
renziana non piace più a Berlusconi, ma piace ancora molto ai suoi
“dipendenti”. Fedele Confalonieri lo ripete da mesi: «Fa figo dire che
si vota No, ma a noi conviene il Sì». Berlusconi, sui rituali divani
bianchi di Vespa, rende palese questo dissenso nel suo partito-azienda.
«Le mie aziende hanno paura della ritorsione di chi ha il potere».
Sparata colossale, tanto che il giorno dopo a Matrix se la rimangia. Ma
la toppa è peggiore del buco. E non copre l’evidenza. Il bastone di
Forza Italia picchia Renzi, il
day- time di Canale 5 lo blandisce
(come conferma la Domenica Live celebrata ieri). Tra Renato Brunetta e
Barbara D’Urso è facile capire chi ha più presa sul “pubblico”.
Cosa
vuole, dunque, Berlusconi? Alessandra Ghisleri, sondaggista di fiducia,
sostiene che il Cavaliere va alle urne del 4 dicembre nella condizione
che gli anglo-sassoni chiamano
win- win. Comunque vada, lui vince.
Se passa il Sì, l’opposizione light che ha esercitato sarà la base per
depotenziare Salvini e per provare a rifondare per le prossime elezioni
il famoso “centrodestra moderato” (anche in prima persona, se la Corte
di Strasburgo lo riabilita).
Se invece passa il No, chiunque sia a
Palazzo Chigi (Renzi che non si dimette, Renzi che si dimette e ha un
reincarico, un altro premier che lo sostituisce per guidare un governo
tecnico) avrà bisogno di accomodarsi al tavolo con lui, unico
“oppositore” pronto a offrire il suo 15%. E a trattare. Sulla legge di
bilancio (da mettere in sicurezza). Sulla legge elettorale (che ora il
Cavaliere vuole proporzionale con sbarramento al 5%). Sulla nuova
Costituzione (dove vuole inserire un tetto alla pressione fiscale, un
taglio a quota 450 dei parlamentari, il vincolo di mandato e l’elezione
diretta del Capo dello Stato).
Ecco il “sogno” berlusconiano (per
molti ancora un incubo). Le “larghe intese” all’italiana. Il fatto è che
stavolta, con un Grillo indisponibile a tutto, l’audace colpo gli può
riuscire. Renzi lo sa bene. Gli indizi non mancano. A beneficio di
telecamere, il premier agita come uno spettro il «governo tecnico» con
Forza Italia. Ma intanto, dietro le quinte, proprio sul fronte
televisivo si delinea uno scambio. A giorni il Consiglio dei ministri
varerà il contratto di servizio della Rai. Dentro c’è una nuova norma
che, se confermata, farà molto discutere. Il tetto di affollamento
pubblicitario del servizio pubblico non sarà più calcolato sul complesso
dell’offerta Rai, ma applicato “rete per rete”. In soldoni, questo
significa che Raiuno dovrà ridurre la sua fetta della torta
pubblicitaria di 80/100 milioni l’anno. Questa quota, a quel punto, si
renderà “disponibile” per il mercato. E il “mercato” significa Mediaset,
che secondo i calcoli degli esperti potrebbe aumentare così i suoi
ricavi di almeno 60 milioni l’anno.
Nulla è stato ancora messo
nero su bianco. Ma nei dintorni di Palazzo Chigi ci si sta ragionando.
Anche questo fa da sfondo alle ipotesi sul prossimo Nazareno 4.0. Le
chiamano “ritorsioni”. Nascondono le spartizioni.