Repubblica 26.11.16
Abraham Yehoshua.
Lo scrittore: “La terra da sempre al centro delle tensioni coi palestinesi”
“Israele è in fiamme ma non chiamatela Intifada del fuoco”
intervista di Francesca De Benedetti
Abraham
Yehoshua, nato a Gerusalemme nel 1936, insegna Lettura comparata presso
l’Università di Haifa. Uno dei maggiori scrittori israeliani, è anche
drammaturgo Il suo ultimo romanzo è “La comparsa”
I palestinesi stanno offrendo ospitalità agli evacuati da Haifa
Se fosse terrorismo perché i servizi non ci hanno protetto?
UNA
COLONNA di fumo taglia Israele. Il fuoco ha attraversato Haifa per poi
lambire Gerusalemme. Quattro giorni di incendi, 80mila sfollati, una
dozzina di arresti e l’ombra di una nuova Intifada: la “Eshtifada”,
l’Intifada del fuoco. Il primo ministro Benjamin Netanyahu parla di
«atto di terrorismo». «La terra, la terra. Qui in Israele la Storia e le
tensioni passano sempre sul corpo della terra», dice il grande
scrittore Abraham Yehoshua. Lui conosce bene ogni angolo di quella terra
arsa: è nato a Gerusalemme, da dove ci risponde, e ad Haifa insegna
all’Università.
Siamo di fronte a una nuova Intifada?
«La
polizia parla di casi di incendio doloso, il primo ministro dice che i
piromani sono terroristi. Io attendo di aver chiari tutti gli elementi e
invito a mantenere calma e lucidità. Mi sembra troppo presto per
incolpare i palestinesi di tutti questi incendi, o per parlare di nuova
Intifada. Non significa che io sia sereno, quando penso alla situazione
in Israele. Anzi, vivo nel rimpianto ormai. Dopo cinquant’anni ho perso
molte delle mie speranze di pace per questa terra. Ora che da due mesi
ho perso anche la mia amata moglie, la disperazione mi attraversa.
Fatico a parlare ».
Netanyahu vede la mano palestinese dietro il susseguirsi di incendi. Che cosa ne pensa?
«Che
non ci sono ancora abbastanza elementi per valutare, ma è plausibile
che molti roghi abbiano causa naturale. Il meteo, l’arsura, mesi senza
una goccia di pioggia, un caldo che colpisce noi così come l’Italia o la
Grecia, le pinete che prendono fuoco immediatamente: dobbiamo
considerare tutti questi fattori con molta attenzione prima di
affrettarci a gettare la colpa sugli arabi. Del resto i roghi hanno
colpito anche le terre abitate dai palestinesi, e poi bisogna dare atto
agli arabi di stare mostrando grande solidarietà. Offrono ospitalità
alla gente di Haifa che ha perso la casa».
Crede quindi che il primo ministro abbia tratto conclusioni affrettate?
«Sarebbe
opportuno da parte sua usare cautela, anche per evitare autogol. Sa, se
davvero ci sono dietro elementi terroristici, io da cittadino mi
chiedo: perché il governo, la polizia, i servizi segreti non hanno
saputo prevenire e proteggere?» .
Un anno fa è esploso il caso dell’Intifada dei coltelli, ora c’è chi già battezza i roghi l’Intifada del fuoco. Non c’è pace?
«Bombe,
coltelli, pistole o forse fuoco, è chiaro che conosciamo sin troppo
bene, da tempo, il prezzo del risentimento e del terrorismo. Ma negli
ultimi dieci mesi abbiamo attraversato una fase relativamente
tranquilla, meno sanguinosa e tesa del solito. Non mi farei prendere
dalle “fiamme” e aspetterei prima di parlare di escalation».
I contenziosi sull’acqua, ora i roghi. Questi episodi sono il segno che il conflitto in Israele tocca anche le risorse?
«La
terra, la terra. In Israele tutto ha a che fare con la terra: gli
insediamenti, le tensioni. Ogni particella della nostra Storia ha sempre
a che fare con questo elemento: la terra».
Lei parla di mesi di relativa pace. Crede che le tensioni tra israeliani e palestinesi potranno sciogliersi?
«Non
farò la parte dell’ottimista: non lo sono, ormai. Ho passato
cinquant’anni a credere fermamente che la soluzione dei due Stati fosse
possibile. Sa cosa mi rimane di tutta questa speranza?».
La disillusione?
«Un
grande rimpianto e la dura accettazione della realtà. Per la soluzione
delle due nazioni è ormai davvero troppo tardi: è uno scenario
impossibile. Da una parte c’è Israele, con i suoi insediamenti.
Dall’altra, ci sono le responsabilità palestinesi: si sono rifiutati di
negoziare, lo trovo grave. E poi, le pressioni internazionali sono
troppo deboli. Con il cambio al vertice negli Usa, sarà pure peggio».
Dice che l’elezione di Trump non sarà d’aiuto?
«Obama
non ha fatto nulla, anche se almeno ci ha provato. Su Trump non farò
previsioni: da scrittore le dico che mi pare un personaggio romanzesco».
Cosa si aspetta dal suo governo ora?
«Vedo
solo una via d’uscita: dare piena cittadinanza ai palestinesi, rendere
tutti uguali di fronte alla legge. Solo così potremo smorzare i “veleni”
dell’occupazione. Magari non risolveremo i problemi alla radice, ma
almeno avremo tolto benzina ai “fuochi” della rabbia ».