il manifesto 26.11.16
Parigi: No “Made in Israel” se i prodotti sono delle colonie
Roghi
e Etichette. Intanto gli incendi che divampano da quattro giorni in
Israele non sono stati ancora domati e la destra lancia altre accuse di
"atti di terrorismo" ai palestinesi
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Al quarto giorno di incendi in Israele la situazione ieri sera non era
ancora sotto controllo anche se alle decine di migliaia di sfollati di
Haifa è stato dato il via libera per il ritorno a casa. Molti però non
hanno più un tetto. Soltanto ad Haifa le fiamme hanno danneggiato circa
600 abitazioni e distrutto completamente altre 40 case. Il vento ieri ha
contribuito ad innescare nuovi roghi, in particolare a ridosso di
Gerusalemme dove le fiamme hanno costretto alla fuga centinaia di
abitanti del villaggio di Beit Meir. L’intervento degli aerei
antincendio giunti da diversi Paesi hanno dato una mano importante ai
vigili del fuoco israeliani ma il pericolo di nuovi gravi incendi non è
passato. Così come non è tramontata l’accusa che diversi esponenti
politici israeliani hanno rivolto ai palestinesi, inclusi quelli con
cittadinanza israeliana, di essere i responsabili degli incendi dolosi. I
media locali hanno dato scarso risalto al soccorso prestato da squadre
di vigili del fuoco giunte dalla Cisgiordania, in particolare da Jenin,
per aiutare a spegnere le fiamme alla periferia di Haifa. Il premier
Netanyahu giovedì aveva addirittura parlato di «atti di terrorismo»,
avvertendo che i responsabili (se arabi naturalmente) saranno puniti
severamente (potrebbero perdere la cittadinanza) pur non avendo in mano
le prove di una regia “occulta” degli incendi.
Dei 15 arrestati
dalla polizia, tre sono abitanti di un villaggio arabo della Galilea,
altri quattro vivono in Cisgiordania. Un beduino di Bersheeva è stato
fermato e detenuto per «istigazione» su Facebook. Certo sui social gli
incendi sono stati presentati da alcuni palestinesi ed arabi come una
“punizione divina” per la legge in discussione in Israele che mira ad
eliminare gli altoparlanti delle moschee. Ma anche un sito religioso
ebraico, vicino ai coloni, ha sostenuto che il governo Netanyahu paghi
così il prezzo per non aver ancora approvato la “sanatoria” per gli
avamposti coloniali ebraici in Cisgiordania. Le televisioni ieri sera
hanno trasmesso immagini dei piromani in azione. Però non sono state
raccolte prove a sostegno della tesi “degli atti di terrorismo” portata
avanti da Netanyahu e da non pochi dei suoi ministri. Da parte loro i
rappresentanti politici della minoranza palestinese respingono con forza
le accuse e denunciano la campagna portata avanti dalla destra allo
scopo, dicono, di delegittimare gli arabo israeliani.
In queste
ore parla di “delegittimazione” anche il governo israeliano, a proposito
del provvedimento annunciato dalle autorità francesi. Parigi, sulla
base delle direttive approvate un anno fa dalla Commissione dell’Ue,
chiede di apporre etichette diverse da “Made in Israel” ai prodotti
provenienti dalle colonie ebraiche costruite sulle Alture del Golan, in
Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Si tratta di regioni siriane e
palestinesi che Israele ha occupato militarmente nel 1967, durante la
Guerra dei Sei Giorni. Di conseguenza la comunità internazionale non li
riconosce come parte del territorio dello Stato ebraico. I regolamenti
commerciali in questo caso impongono a Israele di precisare,
nell’etichetta, che quelle merci sono state prodotte nei Territori
occupati. Una procedura normale. Invece secondo Israele, rispettando le
direttive europee, la Francia avrebbe adottato una politica di
discriminazione verso i cittadini israeliani che vivono e producono
nelle colonie ebraiche. «C’è da rammaricarsi – ha commentato il
portavoce del ministero degli esteri Emmanuel Nachshon – che proprio la
Francia, che pure ha adottato una legge contro i boicottaggi, adotti
provvedimenti del genere che potrebbero essere interpretati come un
sostegno agli elementi radicali e al movimento per il boicottaggio di
Israele». Secondo il portavoce Parigi applicherebbe «un doppio-standard
nei confronti di Israele, ignorando invece 200 altri conflitti
territoriali in corso nel mondo». È una tesi non nuova questa. In
sostanza, di fronte alla gravità delle crisi e delle guerre che
devastano il Medio Oriente e altre aree del mondo, la comunità
internazionale dovrebbe, secondo Israele, dimenticare situazioni
«irrilevanti», poco importanti, come l’occupazione dei Territori che
dura da quasi 50 anni e il fatto che milioni di palestinesi continuino a
rivendicare invano libertà e indipendenza.
Tel Aviv in queste ore
deve fare i conti anche con il successo della campagna “Settimana
internazionale #StopHP”, da ieri fino al 3 dicembre, promossa dal
movimento Bds per il boicottaggio di Israele e delle aziende straniere
che, anche indirettamente, partecipano alla violazione dei diritti dei
palestinesi. La Hewlett Packard (HP) perciò è stata rimossa dal
programma del convegno “Etica e Responsabilità Sociale dell’Informatica”
che si svolgerà a Milano il 5 dicembre. La HP, spiega il Bds, ricopre
un ruolo di grande rilievo fornendo a Israele il sistema biometrico di
identificazione per posti di blocco militari per schedare i palestinesi.
Inoltre sostiene con servizi e tecnologie gli insediamenti coloniali
israeliani.