sabato 26 novembre 2016

Repubblica 26.11.16
Il mio teatro è un film
Branagh: «Shakespeare nei cinema per un pubblico globale
Mi paragonano a Laurence Olivier? Ho fatto scelte simili»
intervista di Paola De Carolis

LONDRA L’ufficio di Kenneth Branagh al Garrick Theatre è in cima a diverse rampe di scale ripide e anguste. Fuori impazza il traffico. Dentro i sedili in velluto rosso sono tipicamente stretti, gli ori degli stucchi ricordano un’eleganza antica, in platea si sente in lontananza il rombo della metropolitana. Non c’è traccia del lustro di Hollywood. La magia è sul palco, un palco sul quale Branagh ha portato Racconto d’Inverno , Romeo e Giulietta , The Entertainer di John Osborne e attori come Judi Dench, Adrian Lester, Zoe Wanamaker, Lily James (la Rose di «Downton Abbey» e Cenerentola ). Attore, regista, produttore, Branagh ha iniettato nuova vita nel West End con una stagione da lui firmata e interpretata che arriva anche nei cinema (www.nexodigital.it). Lui, che è un purista, non era convinto dell’efficacia del binomio, ma si è ricreduto. È un modo, racconta, di «permettere al teatro di vivere oltre lo stabile, di raggiungere un pubblico internazionale e nuovo».
Cosa prova quando guarda il suo teatro sul grande schermo?
«Ha una sua immediatezza e una sua forza. Ci sono studi della Society of London Theatre e del British Council che mostrano che per una parte del pubblico è meglio al cinema che a teatro. Costa meno. Ha tempi e modalità diversi. Puoi andare alla toilette o mangiare i popcorn. Nei tre spettacoli che abbiamo filmato abbiamo fatto un po’ di esperimenti: tanti primi piani, anche perché quando hai attori come Judi Dench è quasi un obbligo mettere a fuoco l’espressione. Per il pubblico hanno una forte carica emotiva. È un po’ come il cinema straniero: ti dà un’idea di come vengono fatte le cose in altri Paesi e in altre culture. E i numeri parlano da soli. Abbiamo un pubblico globale che è tre, quattro volte quello che è venuto in sala qui a Londra».
Ci sono sfide tecniche per gli attori in scena?
«Il processo creativo è sempre quello, anche se il passaggio sul grande schermo ti dà altre possibilità. Romeo e Giulietta , ad esempio, è in bianco e nero perché volevano ricreare l’atmosfera e la magia de La Dolce Vita ».
Tra le opere che ha scelto c’è «The Entertainer», di John Osborne, ambientato all’epoca della crisi di Suez. Un periodo storico difficile come quello attuale, dopo il referendum sulla Brexit?
«Siamo in un momento di crisi nazionale. La risonanza storica è molto interessante. Stiamo cercando di capire qual è il nostro posto del mondo. Facciamo la fila, ma siamo furiosi se gli altri non la rispettano e spingiamo anche noi. Siamo un Paese diviso. Non sappiamo quale sarà il futuro. Proprio come ai tempi di Suez... Non mi sento particolarmente ottimista».
Lei è stato spesso paragonato a Laurence Olivier. É un confronto difficile da sostenere?
«In questo mestiere ci sono personaggi la cui presenza è particolarmente imponente. Olivier è uno di loro. Ho fatto scelte simili alle sue e abbiamo alcuni parti in comune, ma non sono l’unico ad essere paragonato a Olivier. Lo siamo stati tutti».
Sta rifacendo «Assassinio sull’Orient Express», per il quale ha scritturato Judi Dench e Johnny Depp. Perché ha scelto questo film?
«Mi piace moltissimo viaggiare in treno, dormire in treno, per quanto a volte un po’ scomodo, guardare fuori dal finestrino. Trovo l’idea di un lungo viaggio in Europa molto romantica e allo stesso tempo l’ambientazione in uno spazio chiuso e claustrofobico è perfetta per un giallo psicologico».
Lei farà la parte di Hercule Poirot. È da sempre un suo obiettivo?
«Nell’originale la parte venne interpretata da Albert Finney. Per me è stato un maestro. Quando avevo 21 anni era il produttore del mio primo lavoro teatrale. Mi ha sempre incoraggiato molto. È stato gentilissimo con i miei genitori, che erano completamente spiazzati. È un po’ la sensazione che abbiamo tutti con Judi. Non si dà minimamente arie, ma tira su tutti».