Repubblica 26.11.16
Soprintendenza addio rivoluzione al Colosseo
L’area archeologica centrale di Roma verso l’autonomia Avrà un superdirettore e i suoi introiti non saranno più ridistribuiti
di Francesco Erbani
Beni
culturali, arriva un nuovo scossone. Che si somma a quelli che da anni
investono le strutture di tutela del patrimonio italiano, imponendo un
inusitato stress a un apparato fragilissimo.
Stavolta nel mirino
entrano il Colosseo e l’area archeologica centrale di Roma, la cui
gestione potrebbe essere affidata a un organismo simile a quelli che dal
2014 hanno in carico 20 grandi musei e siti archeologici o monumentali
(ai quali altri 10 si aggiungeranno nei prossimi mesi). Al momento non
c’è un provvedimento del ministero di Dario Franceschini. Ma un
emendamento alla legge di stabilità approvato in commissione (prima
firmataria Lorenza Bonaccorsi, responsabile cultura del Pd, fedelissima
renziana) stabilisce che si possano riaprire i termini per la
riorganizzazione delle soprintendenze (accorpamenti, scorpori…) decisi
dalla riforma Franceschini. La riapertura riguarda le soprintendenze
speciali, quella di Pompei e quella, appunto, di Roma, ed è finalizzata
«all’efficientamento delle modalità di bigliettazione » che devono
adeguarsi a «standard internazionali». Il riferimento alla legge 106 del
2014 rende comprensibile ciò che viene espresso in burocratese:
quell’articolo sancisce la nascita dei musei sganciati dalle
soprintendenze.
A questi ora dovrebbero aggiungersi Colosseo, Fori
imperiali, Palatino e le altre perle dell’area archeologica centrale di
Roma (per Pompei non sono previsti stravolgimenti). Un’interpretazione
in questo senso circola con preoccupata agitazione nelle soprintendenze
interessate. È l’ultimo, previsto tassello, aggiungono i più allarmati,
di un processo di riorganizzazione dei beni culturali che stacca dal
sistema le parti più pregiate e che producono maggiori incassi (e il
Colosseo non poteva mancare nella lista in cui figurano già gli Uffizi e
Paestum), affidandole a direttori scelti con bandi internazionali e che
hanno prevalentemente compiti di valorizzazione. È la fine
dell’autonomia introdotta dal ministro Veltroni quasi vent’anni fa,
aggiungono altri.
L’emendamento Bonaccorsi è stato presentato più
volte. Più volte respinto e dichiarato incompatibile con la legge di
stabilità, è stato poi approvato, con il parere favorevole del ministero
di Franceschini. L’allarme nei ranghi della tutela deriva dal fatto che
la nuova riorganizzazione giunge dopo quella che, appena nella
primavera scorsa, aveva già investito i beni culturali romani con la
creazione di una soprintendenza mista. Questa aveva competenza non solo
sull’archeologia della capitale, anche sul paesaggio, sui monumenti e
sulle belle arti entro la cinta delle Mura Aureliane. Il provvedimento
seguiva altri stravolgimenti e lo smembramento in tanti pezzi della
soprintendenza che per decenni aveva retto l’archeologia romana. Il
Museo nazionale romano se n’è andato per conto suo. Per conto suo sta
Ostia e l’Appia Antica fa storia a sé. Da due anni i pochi funzionari
sono costretti a fronteggiare, oltre alla tutela ordinaria, una miriade
di complicazioni dovute agli spacchettamenti (archivi sparpagliati,
pratiche che vagano, personale trasferito...).
L’ennesimo
riassetto ha anche un risvolto finanziario. La soprintendenza romana
usava gli introiti del Colosseo e dell’area archeologica centrale (60
milioni quest’anno) per spalmarli su un territorio bisognoso di onerose
cure. Dopo il terremoto una quarantina di parroci hanno segnalato crepe e
altri danni a chiese di pregio. Alle quali sarebbero andati soldi
provenienti dai biglietti del Colosseo. Che prenderanno ora un’altra
strada.