sabato 26 novembre 2016

Repubblica 26.11.16
Il club dei Paperoni al potere con Trump e Wall Street brinda
Aveva promesso di punire i lobbisti e invece recluta i loro padroni. Come Wilbur Ross, pronto per il Commercio
di Federico Rampini

NEW YORK. Ora ci mancherebbe solo il finanziere Mitt Romney al Dipartimento di Stato. Magari il banchiere Steve Mnuchin (ex Goldman Sachs) come segretario al Tesoro. O il petroliere Harold Hamm all’Energia? Allora nella squadra di Donald Trump avremmo completato il poker. Gli ultraricchi al governo, i membri del club dello 0,1%. Non c’è da stupirsi se Wall Street è in piena luna di miele col presidente- eletto: altro che rivolta anti- establishment, al potere c’è andata la finanza. E sarebbe pure naturale, visto che Trump non è un metalmeccanico. Salvo che proprio a lui sono andati tanti voti metalmeccanici. E in campagna elettorale aveva promesso, fra le altre cose, un giro di vite contro i lobbisti che infestano Washington. In un certo senso, quest’ultima promessa la sta mantenendo. A modo suo: invece dei lobbisti recluta i padroni dei lobbisti. Gente, in certi, casi, molto più ricca dello stesso Trump (sulla cui reale fortuna continua a regnare il mistero).
Politico. com valuta a 35 miliardi il patrimonio totale della nuova squadra di governo, se si confermano tutte le previsioni sul toto- nomine. Il New York Times definisce come “il re delle bancarotte” Wilbur Ross, che Trump vuole come segretario al Commercio. A differenza del bancarottiere seriale Trump (fallito sei volte), il 78enne Ross quel nomignolo se lo è acquisito per tutt’altre ragioni: la sua società di private equity WL Ross & Company è specializzata nel rilevare aziende in bancarotta, ristrutturarle e rivenderle con lauti profitti. Il ministero del Commercio include la competenza sui trattati di libero scambio e Ross è noto per la sua affinità con il protezionismo di Trump. Come vice di Ross al Commercio Trump vorrebbe un altro Paperone, il finanziere Todd Ricketts che possiede la squadra dei Chicago Cubs e il cui padre fondò la società di trading Td Ameritrade. Al dicastero dell’Istruzione è andata una donna ricchissima, Betsy DeVos, che ha finanziato per anni una delle campagne favorite dei repubblicani: le “charter school”, scuole private sostenute anche da sussidi pubblici, per dare alle famiglie un’alternativa all’istruzione di Stato.
La destra può obiettare che di straricchi furono piene le Amministrazioni democratiche. Bill Clinton a suo tempo non esitò a chiamare al Tesoro un ex capo della Goldman Sachs, Robert Rubin, e non a caso il suo governo varò la più importante deregulation finanziaria. Lo stesso Rubin divenne per un breve periodo il capo dei consiglieri economici di Barack Obama, durante la campagna elettorale del 2008, anche se poi non entrò più al governo. In compenso Obama mise al Commercio un miliardario erede della dinastia Pritzker, i fondatori degli hotel Hyatt. Dunque, nulla di nuovo sotto il sole. Se non che siamo nell’era del populismo, la vittoria di Trump è stata possibile solo perché qualche fascia di classe operaia bianca lo ha votato nel Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, facendo ribaltare di strettissima misura la bilancia del collegio elettorale in quegli Stati chiave. Gli operai si sentivano traditi dall’establishment e ora se lo ritrovano ben rappresentato nelle prime caselle dell’organigramma. Ma in fondo l’elettorato popolare che ha scelto Trump ha deciso di abbracciare anche la sua ricchezza, e la promessa che «un imprenditore saprà gestire la nazione molto meglio dei politici e dei burocrati». Fin dall’inizio Trump ha avuto come consigliere- chiave al suo fianco il genero Jared Kushner, pure lui ereditiere, immobiliarista e finanziere, probabilmente più ricco del suocero.