Repubblica 26.11.16
Palazzo Chigi si sente sotto assedio “Attenti al debito e alle banche”
Nel Pd cresce il partito della continuità. Franceschini: “Da irresponsabili chiamarsi fuori in caso di sconfitta”
di Tommaso Ciriaco Alberto D’Argenio
«MI
vogliono accerchiare, la lobby dei burocrati di Stato ha bocciato la
riforma Madia e non vorrei che anche gli euroburocrati si stiano
appoggiando ai mercati per mettermi in difficoltà». In privato Matteo
Renzi punta il dito sulle manovre domestiche e internazionali.
MANOVRE
che a suo modo di vedere mirano a indebolire l’esecutivo italiano in
vista del 4 dicembre. Un allarme che si somma alle analisi che nelle
ultime ore si rincorrono tra Palazzo Chigi e il Tesoro, dove gli uomini
del premier e di Padoan osservano non senza preoccupazione - l’andamento
nervoso dello spread.
Il capo del governo sta iniziando a unire i
puntini. Prima l’Economist che si schiera con il No, poi, ieri, la
bocciatura della riforma Madia da parte della Corte costituzionale.
Riforma che tra l’altro era già stata impallinata dal Consiglio di
Stato. «Anche gli alti burocrati - è stata la reazione a caldo del
leader - sono contro il cambiamento, tifano per il No e le loro
posizioni di rendita». Un attacco solo apparentemente contro la
Consulta, ma in realtà rivolto alle burocrazie, anche regionali, che per
il premier non vogliono la riforma. E che cercano di colpire proprio
alla vigilia del passaggio più decisivo della legislatura.
Non
solo, ieri lo spread ha toccato quota 190 punti, per poi ripiegare a 186
in chiusura di seduta. Segno della tensione dei mercati in vista del
referendum. Una volatilità che nelle stanze dell’esecutivo attribuiscono
alla scommessa dei grandi investitori internazionali contro il futuro
del governo. Peggio, Renzi teme che gli speculatori si stiano già
muovendo per colpire l’Italia nel suo tallone d’Achille: le banche.
Di
fronte a questi presagi, negli uffici governativi - a partire da quelli
di Via XX Settembre si tracciano gli scenari in vista del 5 dicembre e
delle eventuali contromisure. Primo, con una vittoria del Sì
all’Economia si aspettano una spinta alla crescita e uno spread - il
differenziale tra Btp e Bund che misura il rischio Paese - che si
ridimensiona e rapidamente torna ai livelli di quello spagnolo, che
grazie al nuovo governo di Rajoy viaggia a una cinquantina di punti base
sotto quello italiano. Tuttavia ai piani alti dell’esecutivo valutano
ormai apertamente anche gli effetti di una sconfitta. In caso di
bocciatura della riforma Boschi, si potrebbero registrare scossoni sui
mercati, ma se la politica si dovesse dimostrare in grado di fornire
subito una soluzione certa alla crisi, il quadro dovrebbe stabilizzarsi
senza particolari danni. Anche perché proprio i movimenti al rialzo
dello spread di questi giorni fanno immaginare agli analisti del Tesoro
che i listini stiano già scontando l’eventuale vittoria del No,
limitandone l’impatto. I veri problemi arriverebbero invece nel caso in
cui un’impasse politica dovesse aprire un lungo periodo di incertezza. A
quel punto i mercati potrebbero davvero trasformarsi in una minaccia,
ricreando quel mix di paura, sfiducia e speculazione che segnò l’autunno
2011. Ma a differenza di allora - ragionano ancora i tecnici
governativi - il primo problema non sarebbe lo spread, che per quanto in
rialzo non dovrebbe esondare oltre i livelli di guardia grazie al
quantitative easing messo in campo dalla Bce di Mario Draghi. Questa
volta l’anello debole sarebbero le banche. In particolare gli istituti
impegnati in complicate operazioni di ricapitalizzazione, come Monte dei
Paschi e Unicredit, che potrebbero andare incontro a diverse
difficoltà. Un rischio per il sistema Italia.
È questo il contesto
nel quale si muove la politica. Il premier continua a ripetere che mai e
poi mai si presterà a soluzioni pasticciate. Meglio, al limite, un
governo Padoan “a scadenza”. Ma nel Pd cresce di ora in ora il partito
della continuità. Tra gli sponsor si segnala anche il ministro Dario
Franceschini, che ha già indicato in Renzi il successore di Renzi. E che
non ha gradito la nuova “personalizzazione” del voto portata avanti dal
leader: «Penso che sia da irresponsabili - confidava ieri in
Transatlantico, chiacchierando con i deputati che lo circondavano
pensare di chiamarsi fuori in caso di vittoria del No». Eppure, il capo
del governo resiste. Dovesse perdere, sarebbe disposto a condurre in
porto la Legge di bilancio. Nulla di più, per non prestarsi a una
dannosa e logorante permanenza da sconfitto a Palazzo Chigi.
Certo,
di fronte a una tempesta economica non sarà facile sfilarsi. Anche
perché, come gli continua a suggerire Angelino Alfano, gestire dalla
presidenza del Consiglio la trattativa per la nuova legge elettorale e
la transizione a nuove elezioni - già si parla di giugno - può risultare
conveniente. Di più, «è la tua assicurazione contro chi vuole
annientarti». Proprio il leader Ncd è protagonista in queste ore di un
clamoroso riavvicinamento con Silvio Berlusconi. Dopo anni di gelo
assoluto, i due hanno ripreso a sentirsi. E hanno anche raggiunto
un’intesa di massima su una bozza di riforma elettorale da sottoporre a
Renzi. Si tratta di un Mattarellum “rovesciato”, nel senso che alla
Camera attribuisce circa 400 seggi con un meccanismo proporzionale (ben
oltre il 25% della versione del 1993), limitando la quota uninominale a
poco più di duecento scranni. Di fatto, il sistema ideale per consentire
al Pd, Forza Italia e centristi di dare vita alle larghe intese dopo il
voto. Renzi al momento sul punto tace.