Repubblica 25.11.16
Ritratto delle due Italie ai tempi delle crisi
Un
gruppo di studiosi riuniti dall’Istat traccia analogie e differenze tra
la Grande Depressione del 1929 e la Grande Recessione del 2008
di Ferdinando Giugliano
IL CONVEGNO
La
società italiana e le grandi crisi economiche 1929-2016 è il titolo del
convegno che l’Istat organizza nell’ambito delle celebrazioni per i 90
anni della sua fondazione all’Università la Sapienza Oggi nell’Aula
Magna del Rettorato e domani nella facoltà di Economi
La
Grande Recessione che ha colpito l’Italia otto anni fa e da cui il
nostro Paese stenta ancora a riemergere rappresenta una cesura epocale
per il nostro sistema produttivo. Il confronto con l’altra crisi della
storia unitaria, la Grande Depressione degli anni ’30, è pertanto non
solo inevitabile ma anche opportuno: gli eventi di quegli anni sono
infatti un’ottima pietra di paragone per comprendere i punti di
resilienza e vulnerabilità della nostra economia e per giudicare le
risposte che la nostra classe politica ha saputo o non è stata in grado
di offrire.
Il convegno organizzato dall’Istat per i suoi 90 anni
in programma oggi, e intitolato “La società italiana e le grandi crisi
economiche, 1929-2016”, si inquadra perfettamente in questo disegno.
Partendo dalla ricostruzione delle serie storiche del prodotto interno
lordo dal 1861, completata 5 anni fa con la Banca d’Italia e
l’Università di Roma Tor Vergata, l’istituto ha chiamato a raccolta i
migliori storici economici e sociologi italiani per setacciare
somiglianze e differenze tra i periodi di più forte difficoltà per
aziende e cittadini.
La scoperta centrale è che sebbene la grande
recessione sia stata ben più lunga e profonda della crisi del ’29, il
nostro tessuto sociale ha tenuto meglio, grazie al sistema di welfare e
alla ricchezza delle famiglie. Questo riconoscimento, apparentemente
positivo, nasconde però un’ombra: i costi della crisi attuale sono stati
scaricati sul futuro attraverso minori investimenti. Si è trattata di
una scelta miope da parte delle nostre classi dirigenti, che penalizzerà
a lungo le nuove generazioni.
La peculiare drammaticità per
l’Italia di questi ultimi anni è ben descritta nel lavoro di Gianni
Toniolo, economista alla Luiss e alla Duke. Per l’economia mondiale nel
suo complesso, la Grande Recessione è stata poco più di un breve
incidente di percorso, grazie alla ripresa rapida e robusta dei paesi
emergenti. In Italia, invece, il Pil continua a languire a un livello di
quasi un decimo inferiore rispetto a otto anni fa. «La crisi attuale è
stata per l’Italia la più grave dalla storia unitaria», spiega Toniolo.
Davanti
a questa sfida ancora più impegnativa della Grande Depressione, le
conseguenze per gli italiani sono state però meno drammatiche rispetto
agli anni ’30. La diminuzione degli occupati è stata infatti meno
marcata, poiché le aziende hanno spesso preferito perdere produttività
piuttosto che licenziare. Gli indicatori di benessere, dalla speranza di
vita al consumo di calorie, hanno avuto andamenti più positivi che
negli anni tra le due guerre. Il nostro Paese è stato infatti protetto
dalla sua ricchezza e dal suo stato sociale. Rispetto all’Italia del
1929, quella del 2008 era infatti incomparabilmente più ricca e aveva un
rapporto tra spesa pubblica e Pil molto più alto — 48% rispetto a circa
il 30%. Questi soldi sono stati usati per aiutare chi era in
difficoltà. Il lavoro di Emilio Reyneri, dell’università di Milano
Bicocca, mostra come il migliore andamento del mercato del lavoro di
questi anni sia spiegato quasi integralmente dalla cassa integrazione.
«In assenza di questa misura, a crescente carico della fiscalità
generale, l’attuale caduta dell’occupazione sarebbe stata altrettanto
grave di quella degli anni ’30», dice Reyneri. Una mano è arrivata anche
dai “tesoretti” delle famiglie: come nota Giovanni Vecchi di Tor
Vergata la ricchezza privata sta infatti progressivamente calando.
Questo
non significa, ovviamente, che la Grande Recessione non abbia colpito
alcuni più di altri. Come nel 1929, i divari tra Sud e Nord sono
aumentati, anche se con effetti diversi. Emanuele Felice dell’università
di Pescara mostra come negli anni ’30, la popolazione al Sud abbia
continuato ad aumentare, a fronte di poche possibilità di emigrazione.
L’effetto è stato un impoverimento diffuso, soprattutto nelle aree
agricole. Oggi, invece, il rischio è lo spopolamento del Mezzogiorno,
colpito da una bassa natalità e da un’emigrazione sempre più massiccia.
Ma
il problema principale della crisi di questi anni è che abbiamo messo a
repentaglio il futuro per limitare i danni nel presente. Toniolo mostra
come a fronte di una maggiore tenuta dei consumi, il crollo degli
investimenti avvenuto negli ultimi otto anni sia stato ben più marcato
rispetto agli anni ’30. La colpa è da imputare ai governi che si sono
succeduti negli anni, e che hanno lasciato crollare la spesa pubblica in
conto capitale per preservare quella corrente. Da questo punto di
vista, le scelte del premier Matteo Renzi e del ministro dell’economia
Pier Carlo Padoan restano troppo timide: la legge di bilancio in
discussione in Parlamento contiene dei provvedimenti utili per le
aziende che vogliano ammodernarsi, ma non dà abbastanza priorità al
rinnovamento di infrastrutture fisiche e digitali da parte dello Stato.
L’obiezione
più diffusa è che questo sia colpa dell’austerità imposta da Bruxelles.
Di primo acchito, il confronto con il 1929 sembra dare ragione a questa
tesi: Toniolo mostra come la politica di bilancio durante la Grande
Depressione diventi maggiormente espansiva a partire dal 1932, aiutando a
sostenere l’economia. Tuttavia, queste spese furono progressivamente
destinate a sostenere lo sforzo bellico, di certo non una grande lezione
per il presente. Inoltre, la crescita lenta dell’Italia prima del 2008
indica che anche abbandonare la modesta “austerità” in cui siamo non
basterebbe a intaccare i problemi fondamentali della nostra economia,
che hanno a che fare con la bassa produttività e l’errata distribuzione
delle risorse.
Da questo punto di vista, la migliore lezione per
le nostre aziende viene dal presente. A differenza degli anni ’30, le
esportazioni italiane sono cresciute durante la crisi. Cercare di
ammodernarsi per sfidare il mondo sul piano commerciale è una ricetta
più lungimirante di qualsiasi rivendicazione nazionalista.