Repubblica 25.11.16
"Ricontiamo i voti"
Sfide dei democratici per ribaltare il risultato delle elezioni Usa
di Federico Rampini
RECOUNT!
Vogliamo
la ri-conta dei voti. Dopo una campagna elettorale in cui era stata la
destra a denunciare preventivamente brogli in favore dei democratici
(«it’s rigged», è truccato, disse ripetutamente Donald Trump), l’ultima
sorpresa è un rovesciamento delle parti. Si mobilitano i democratici,
soprattutto le organizzazioni della sinistra di base, per chiedere un
controllo a due settimane dal risultato. La ragione? I margini di
vittoria di Trump, ora che si è concluso il lentissimo spoglio delle
schede inviate per corrispondenza, sono così microscopici che basta la
minima irregolarità (o semplici errori) a determinare un clamoroso
capovolgimento. Ecco i numeri in tre Stati-chiave, decisivi per
assegnare la Casa Bianca a Trump. Nel Michigan il vantaggio di Trump è
sceso a sole 10.704 schede, lo 0,2% dei votanti. Nel Wisconsin lui ha
solo 22.525 voti in più, lo 0,8%. In Pennsylvania ne ha solo 70.010 in
più,
La vera spinta politica a fare ricorso e chiedere
la ri-conta manuale viene da quel totale di 2 milioni di voti popolari
in più che Hillary ha raccolto rispetto a Trump. Quelli sono in massima
parte voti ottenuti in California e altre zone solidamente democratiche
dove comunque la totalità dei “grandi elettori” è andata a Hillary; quei
milioni in più non servono perché vincere in California col 50,1% o col
62% è la stessa cosa al fine del bottino di delegati: sono 55 i “grandi
elettori” espressi dalla California, e tali restano a prescindere dal
margine di maggioranza. Quei 2 milioni sono comunque uno scarto enorme,
un record storico, ancorché irrilevante ai fini del “collegio
elettorale”, la controversa legge che regola l’elezione presidenziale.
Però a questo punto cresce la voglia di andare a verificare se negli
Stati-chiave come Wisconsin, Michigan, Pennsylvania, il margine
ridottissimo di Trump sia stato davvero regolare. Il problema è che
Hillary e la dirigenza democratica hanno già concesso la vittoria a
Trump e non sembrano affatto interessati ad aprire un contenzioso a base
di ricorsi a scoppio ritardato. Le varie organizzazioni di base che
invocano questo riconteggio, non possono chiederlo: deve farlo un
candidato. Ed ecco che spunta Jill Stein, la candidata verde, lei sì è
pronta ad avviare i ricorsi. Non per se stessa, ma contro Trump. A
questo punto si schierano a suo sostegno MoveOn e Democracy For America,
che in poche ore ieri avevano già raccolto 80.000 firme. Le stesse
organizzazioni stanno anche raccogliendo fondi per la Stein, poiché la
presentazione dei ricorsi va fatta Stato per Stato e comporta spese
legali che la candidata verde non può coprire da sola. Sia Democracy For
America che MoveOn non sono affatto legate al partito degli
ambientalisti che candidò la Stein; sono due organizzazioni della
sinistra democratica, avevano appoggiato prima Bernie Sanders (alle
primarie) poi Hillary l’8 novembre. La loro adesione all’iniziativa di
Jill Stein è puramente strumentale. MoveOn in particolare nelle email
diffuse ai militanti lo lascia capire, non si fa troppe illusioni sul
fatto che Trump possa essere
scalzato in extremis, però vuole
almeno che sia posto in modo stringente il tema del collegio elettorale,
un sistema che distorce la volontà popolare. Ironia della sorte: se
Jill Stein avesse evitato di presentarsi, disperdendo voti giovanili “di
protesta” sulla sua candidatura ambientalista, e raccogliendo l’1% su
scala nazionale, forse oggi Hillary sarebbe presidente. E sarebbe Trump a
studiare le opzioni di ricorso, come aveva minacciato di fare.