Repubblica 24.11.16
La campagna del nonostante
di Nadia Urbinati
NON
è facile essere, e restare nel tempo, avversari civili nelle
competizioni democratiche. E i leader politici, che occupano lo spazio
pubblico, contribuiscono a rendere i toni del discorso incandescenti,
soprattutto alla fine delle campagne elettorali o referendarie.
IN
QUALCHE modo, la retorica populista appartiene a tutti i competitori,
che usano il linguaggio della contrapposizione per muovere le emozioni
dei votanti e conquistare il consenso degli incerti. Se la maggioranza
silenziosa è quella che decide le competizioni, ai politici questa
sembra una tattica efficace per destare attenzione e muovere le
decisioni. E i mass media sono naturali fagocitatori del metodo dei
colpi bassi, sempre alla ricerca di audience.
L’escalation
dello scontro è quel che sta avvenendo in questi ultimi giorni di
propaganda referendaria. Dopo l’accusa di Renzi agli elettori del No di
essere una «accozzaglia» (della quale si è scusato, dopo) tocca a Grillo
rovesciare addosso ai cittadini intenzionati a votare Sì l’accusa
volgare di essere rappresentati da una «scrofa ferita». L’uso delle
espressioni forti serve, non da oggi, a innervosire l’avversario, a
indurlo nel vortice del turpiloquio. Cicerone raccontava di campagne
elettorali al vetriolo e di comizi urlati con audience inferocite nel
foro della repubblica. Nonostante non ci sia nulla di nuovo quando la
politica si regge sulla ricerca libera del consenso dei voti, ogni volta
che ci troviamo nel mezzo di una campagna elettorale o referendaria non
possiamo fare a meno di sentire il disagio e il disgusto per la
decadenza del discorso politico in turpiloquio. E resistiamo, attoniti,
al tentativo dei leader di deragliare il treno della competizione fuori
dai limiti della decenza. A Grillo dobbiamo dire che il linguaggio che
usa non fa un buon servizio a quella che dice essere la sua causa — al
contrario, fa un servizio opposto. Perché come chi vota No non è
«un’accozzaglia», chi vota Sì non si alimenta nel trogolo di un porcile.
Che
cosa hanno a che fare i cittadini con queste non-ragioni per votare
così o cosà? Nulla, proprio nulla. Le parole di Grillo offendono
l’impegno civico quotidiano dei cittadini che si sono impegnati in
questi mesi nelle piazze, ai banchetti, con il volantinaggio e i
dibattiti; offendono non solo chi è per le ragioni del Sì ma anche chi è
per le ragioni del No. Sono anzi oltraggiose proprio per questi ultimi,
e per una ragione che non è difficile da capire. Infatti, i cittadini
che sono schierati per il No contrariamente agli altri non hanno un
leader rappresentativo unico. La loro parte è composta da una pluralità
di appartenenze politiche e di non appartenenze politiche; in comune
hanno l’opposizione a un progetto di riforma. Le ragioni che li muovono
non sono necessariamente le stesse. Questo pluralismo rende ancora più
insopportabile l’uso del linguaggio di Grillo.
Questa
campagna referendaria può essere identificata come quella del
nonostante, una delle preposizioni più usate e trasversali: votare Sì
“nonostante” Renzi o nonostante una proposta pasticciata; votare No
“nonostante” la volgarità antipolitica di Grillo o la xenofobia di
Salvini. C’è una ragione in questo uso del “nonostante”, una ragione che
è centrale e qualifica la consultazione del prossimo 4 dicembre: il
voto riguarda il referendum costituzionale, non è un voto politico nel
senso che premia o atterra una maggioranza di governo. Non è un voto su o
contro Renzi e, quindi, non è un voto su o contro Grillo o Salvini. Il
voto referendario per sua natura taglia trasversalmente idee e
appartenenze, e nonostante lo abbia promosso il governo Renzi,
l’opposizione a questa proposta di revisione della Costituzione non si
identifica necessariamente con il giudizio sulla maggioranza. Il
referendum non si propone di “mandare a casa” il governo, anche se i
leader delle forze politiche in campo possono pensare di usarlo a questo
scopo. Mai come ora è importante che i cittadini non si facciano
derubare della loro funzione primaria — poiché nonostante i leader
politici cerchino di farne un plebiscito pro o contro, questo è un
referendum costituzionale, una decisione sovrana sull’ordine
istituzionale che vogliamo e che, quando i voti saranno contati, si
imporrà su tutti noi.