giovedì 24 novembre 2016

Repubblica 24.11.16
Se l’impresentabile ora è indifendibile
di Massimo Giannini

LA “TAMMURRIATA” nera del ras della Campania, Vincenzo De Luca, dovrebbe far sorridere. Sommerso dalle critiche per il suo inaccettabile insulto a Rosy Bindi («un’infame da uccidere»). Travolto dalle polemiche per il suo inconcepibile “inno al clientelismo” (pronunciato la scorsa settimana davanti a 300 amministratori locali).
SOTTOPOSTO per questo a una richiesta di informazioni alla Procura di Napoli, da parte della Commissione Antimafia (per verificare se vi siano gli estremi per l’avvio di un’inchiesta). Di fronte a tutto questo, il governatore finge di cavarsela con il solito sarcasmo, sulfureo e surreale. Ironizza con un pescatore che gli offre un merluzzo, sul molo di Pozzuoli, e gli risponde «non posso, è voto di scambio». Motteggia su Facebook, rispondendo all’Antimafia «ci rende curiosi conoscere l’iter previsto sul reato di battuta e come evolverà la crociata del calamaro».
Una sceneggiata napoletana, appunto. Se non fosse che è tutto maledettamente più serio e più grave, e quindi da ridere non c’è proprio niente. Dietro il caso De Luca non c’è un ipotetico caso giudiziario, ma un ciclopico scandalo politico. La Procura di Napoli valuterà se la “chiamata alle armi” pronunciata dal presidente della Regione con i sindaci campani in vista del referendum del 4 dicembre prefigura qualche violazione di legge. La Commissione Antimafia, acquisite le informazioni dai magistrati partenopei, valuterà se procedere a sua volta, secondo la normativa vigente. Ma non c’è bisogno di aspettare questi riscontri, per dare un giudizio su quello che è avvenuto. Perché quello che è avvenuto non riguarda il codice penale, ancora inviolato fino a prova contraria. Ma chiama in causa il codice etico, già clamorosamente abusato.
Parlano i fatti, molto più delle farneticanti elucubrazioni che De Luca affida alternativamente ai social network e alle telecamere casarecce di Lira Tv. Basta riascoltare la registrazione del comiziaccio di martedì 15 novembre, all’Hotel Ramada, vicino alla stazione centrale del capoluogo campano, per toccare con mano l’abisso in cui può precipitare un leader politico, che si professa “moderno”. Venticinque minuti di spregiudicata immoralità pubblica. De Luca deve convincere i sindaci a portare quanta più gente alle urne, per sostenere la riforma costituzionale di Renzi. E per farlo li incita ad usare tutti i mezzi. «Vi piace Renzi, non vi piace Renzi, a me non me ne fotte un cazzo». C’è da portare a casa il Sì, il 4 dicembre, costi quel che costi. Non come fa Bersani, che invece di fare promesse in campagna elettorale si preoccupa delle «compatibilità economiche»… «Ma vi pare?», prorompe il governatore, in un profluvio di risate dell’uditorio.
Ma poi insiste, e spiega: «Abbiamo fatto una chiacchierata con Renzi, gli abbiamo chiesto 270 milioni per Bagnoli e ce li ha dati. Altri 50 e ce li ha dati. Mezzo miliardo per la Terra dei fuochi e ha detto sì. Abbiamo promesse di finanziamento per Caserta, Pompei, Ercolano e Paestum. Sono arrivati fiumi di soldi: 2 miliardi e 700 milioni per il Patto per la Campania, altri 308 per Napoli… Che dobbiamo chiedere di più?». Fiumi di soldi, in cambio di un Sì al referendum. Altro che Senato delle autonomie, fine del bicameralismo paritario, taglio dei costi della casta. A De Luca interessa tutt’altro. E lo dice: «Dobbiamo parlare con i nostri riferimenti. Il mondo delle imprese, gli studi professionali… Il comparto della sanità: questa non è la Toscana, qui il 25% è dei privati, migliaia di persone… Possiamo permetterci di chiedere a ognuno di loro di fare una riunione con i propri dipendenti e di portarli a votare». (E proprio sulla sanità, non a caso, grazie a un emendamento approvato nella notte, il governatore ha ottenuto la possibilità di autonominarsi commissario straordinario).
C’è un “preclaro esempio” da seguire. De Luca ce l’ha sotto gli occhi, e lo indica agli altri 299 sindaci presenti. È quel Franco Alfieri, già sindaco di Agropoli, non candidato nel Pd perché “impresentabile” secondo le famose liste dell’Antimafia di Bindi. De Luca se lo è preso come consulente, con delega all’agricoltura e alla pesca. E oggi lo indica come modello: «Prendete lui, notoriamente, clientelare. Come sa fare lui la clientela lo sappiamo. Una clientela scientifica, organizzata, razionale come cristo comanda. Ah, che cosa bella! ». È questo mago dell’intrallazzo, che deve portare quanta più gente a votare Sì: «Franco, vedi tu come madonna devi fare, offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht, fai come cazzo vuoi tu! Ma non venire qui con un voto in meno di quelli che hai promesso!».
Eccolo, dunque, il “metodo De Luca”. Un ibrido inquietante. C’è un po’ di Cetto Laqualunque, l’eroe cinematografico di Antonio Albanese che, superato ormai dalla realtà, chiedeva voti in cambio di “più pilu per tutti”. C’è un po’ di Achille Lauro, ‘O Comandante che, da sindaco di Napoli e poi parlamentare monarchico, negli anni Cinquanta faceva il pieno di voti con il sistema della “scarpa spaiata”: prima delle elezioni distribuiva nei comizi una scarpa sinistra, dopo il voto completava la dazione e distribuiva anche la destra. De Luca, affidandosi al sapiente Alfieri, ha solo aggiornato il modello: non scambia “pilu” né scarpe, ma fritture di pesce, gite in barca o chissà cos’altro.
La sostanza è la stessa. E purtroppo è marcia. E soprattutto stride platealmente, e dolorosamente, con l’idea “altra” e alta della politica propugnata in questi ultimi anni dal Pd, al quale pure De Luca appartiene. Sono questi i protagonisti del “cambiamento”, che dovrebbero rifondare i valori della sinistra riformista? Sono questi i campioni del “nuovo”, che dovremmo preferire ai rottamati dell’accozzaglia del No? Aspettiamo una parola di Renzi. Il premier non può tacere su quello che sta accadendo in quel Sud che è la vera spina nel fianco, suo e di tutto quel che resta del partito. Non basta avere in cassaforte un bel bottino di consensi, per essere considerato un “intoccabile”. Non sappiamo se, prima delle amministrative, il ras salernitano fosse davvero “impresentabile”, come sosteneva allora l’Antimafia. Ma una cosa è sicura: oggi è indifendibile.