il manifesto 24.11.16
In tv parla il capo, segue l’accozzaglia
di Michele Prospero
Davvero
vincesse il no, la prova referendaria avrebbe del clamoroso: la
sconfitta dell’uomo solo al (tele) comando. Un popolo che non si lascia
incantare dai simboli del potere smentirebbe taluni assiomi sugli
effetti narcotizzanti dei media. La testa delle persone rimane pur
sempre la cosa più inespugnabile per le agenzie del potere che
dispongono di media, denaro, indirizzi privati.
Lo
schieramento dei media, messo in campo dal governo per orientare
l’esito del referendum, è impressionante. Le distorsioni cognitive
ricercate dai canali dell’informazione sono palesi ed evocano
consuetudini manipolatorie d’altri tempi.
La
confezione dei telegiornali obbedisce ad una precisa strategia di
persuasione per la determinazione delle preferenze di voto. Nelle reti
pubbliche si raggiunge un livello pervasivo di propaganda a favore del
capo di governo (l’unico che è ripreso mentre parla ad un pubblico che
plaude) e di annebbiamento delle altre posizioni in campo (quasi mai
associate a manifestazioni con gente in carne ed ossa). L’uso
manipolatorio dei media rientra nel clima di un plebiscito che accarezza
la maggioranza silenziosa disponibile all’acclamazione.
Nelle
reti pubbliche senza alcuna garanzia di contraddittorio, Renzi
monopolizza qualsiasi spazio dell’informazione per cercare una estrema
resistenza al potere.
I servizi dei
telegiornali riprendono il capo solitario che parla, gesticola, imita,
insulta. E per un tempo illimitato è lui solo che recita e occupa la
scena di qualche teatro tramutato in un non-luogo che ovunque mostra le
stesse scatole. All’esibizione del leader, riprodotta in video per
interminabili secondi, segue un minestrone, con un infinito collage di
citazioni spesso banali dei nemici. Lo schema è ben collaudato: la prima
notizia è sempre il capo che, nella sua ubiquità, si propone come
simbolo di vivente energia, contro tutti gli altri, richiamati solo in
un secondo tempo con l’assemblaggio pigro di anonime veline.
Non
è casuale questo impianto scenografico che si ripete ossessivamente
grazie alle telecamere amiche che seguono ogni spostamento del premier e
possono farlo solo mescolando con astuzia funzione politica e carica di
governo. L’accozzaglia, di cui parla Renzi, non è più un concetto
astratto, un mero simbolo polemico. Diventa una immagine tangibile e
viene mostrata nella sua concretezza dal servizio della Rai che
obbedisce a una logica. Solo il capo parla con la sua voce, gestisce i
tempi del suo intervento, gli altri che si oppongono sono rumori di
fondo riprodotti in un minestrone, spesso insignificanti.
Renzi
monopolizza l’intero tempo del si, mentre il minutaggio del no è
distribuito in una miriade di voci che vengono ad arte moltiplicate
perché così suscitano confusione, eccentricità. E spesso nel calderone
delle altre posizioni compare anche Alfano, con il suo sì che
inopinatamente si trova ospitato nel calderone dedicato al no. Dietro
questa scelta confusionaria risiede una strategia ponderata.
Il
capo, con la voce autonoma che si esibisce ovunque, e il coro di voci
anonime che fanno da contorno: questo è lo schema. Se a vincere la
contesa sarà proprio l’anonimo no, con il coro degli insignificanti
attori non protagonisti, a dicembre si realizzerà un miracolo politico.
Cioè si avrà una di quelle inattese prove di resistenza popolare al
conformismo del potere destinata a fare epoca negli studi di
comunicazione. Gli osservatori internazionali non dovrebbero perdere
l’occasione di sorvegliare in presa diretta come in una democrazia
squilibrata si prova la costruzione di un regime personale.