Corriere 24.11.16
Dopo il no è possibile una nuova riforma
di Enzo Cheli e Ricardo Franco Levi
Caro
direttore, f rutto della consapevolezza che le istituzioni influenzano
in modo decisivo la capacità di un Paese di produrre sviluppo e
benessere, la riforma della Costituzione oggetto del prossimo referendum
mira a superare il «bicameralismo paritario» e a riequilibrare la
distribuzione dei poteri tra lo Stato e le Regioni. Dopo oltre
trent’anni di dibattiti ed esperienze fallite, si tratta di obiettivi
largamente condivisi, così come la correzione di alcuni evidenti errori
della riforma del 2001 del Titolo V e l’abolizione delle Province e del
Cnel.
Accanto alle luci si trovano, però, le
tante ombre. Molti degli strumenti con cui la riforma si propone di
raggiungere i propri obiettivi rischiano, infatti, di portare a
risultati opposti a quelli sperati: ad un apparato istituzionale e una
«macchina delle leggi» più complessi e non più semplici, ad una maggiore
e non minore conflittualità tra Camera e Senato e tra Stato e Regioni.
A
questo riguardo, è sufficiente pensare ai senatori a mezzo servizio
chiamati a dividersi tra il Parlamento e i consigli comunali e
regionali; alla decina di diversi percorsi tra le due Camere a seconda
degli oggetti trattati per l’approvazione delle leggi; al debole
coordinamento tra Camera e Senato affidato a una non ben definita intesa
tra i due presidenti; ai labili e sfuggenti confini delle nuove materie
affidate alla legislazione esclusiva dello Stato e delle Regioni.
Queste
ragioni, che inducono ad esprimere un giudizio complessivamente
negativo sulla riforma, sarebbero, tuttavia, più serenamente apprezzate
ove risultasse chiaro che esse non sono il frutto né di una chiusura al
rinnovamento né, tantomeno, di un disegno di parte, che il «No» a questa
riforma vuol dire «Sì» a una riforma migliore: una riforma più
semplice, equilibrata e comprensibile che, confermandone gli obiettivi,
sia tale correggere le gravi carenze di quella oggi sottoposta al vaglio
degli elettori.
Di una simile riforma questi potrebbero essere i punti essenziali:
1.
dimezzamento del numero dei parlamentari sia alla Camera sia al Senato
ed elezione diretta dei senatori su base regionale con la previsione
dell’esercizio esclusivo della funzione senatoriale in caso di elezione;
2.
superamento del bicameralismo paritario con la concentrazione nella
sola Camera del voto di fiducia e con l’affidamento al Senato di una
funzione di coordinamento delle politiche regionali;
3.
conservazione del carattere bicamerale della legislazione con un
rigoroso limite temporale alla «navetta» tra le due Camere e con la
prevalenza finale della volontà della Camera;
4.
conferma di alcuni punti della riforma sottoposta a referendum, quali
la previsione di una corsia preferenziale per i disegni di legge del
governo con limiti più rigorosi ai decreti leggi; la revisione del
Titolo V della Costituzione (ma limitata allo spostamento nell’area
della legislazione esclusiva statale delle funzioni di sicuro rilievo
nazionale: grandi infrastrutture, energia, ordinamento della
comunicazione, …); l’abolizione del Cnel e delle Province.
In
caso di vittoria del No, questi punti, da tempo maturi nella coscienza
del Paese, potrebbero formare oggetto di un progetto di iniziativa
parlamentare da presentare immediatamente dopo il referendum,
perseguendo, in uno spirito di riconciliazione, un consenso più ampio
nel Paese e tra le forze politiche tale da permetterne un’approvazione
in tempi ristretti, auspicabilmente entro questa legislatura.
Questa
riforma «minore», una volta sperimentata, potrebbe essere
successivamente sviluppata e completata attraverso un intervento più
incisivo e diretto sulla forma di governo per rafforzare la stabilità
dell’esecutivo, introducendo la sfiducia costruttiva e attribuendo al
premier il potere di proporre al capo dello Stato non solo la nomina ma
anche la revoca dei ministri. Alla riforma della Costituzione si
dovrebbe naturalmente affiancare anche una nuova legge elettorale che
tenga, tra l’altro, conto delle nuove e diverse funzioni di Camera e
Senato. Ma questa è, ed è bene che per il momento resti, un’altra
storia.