Repubblica 24.11.16
I mercati già oggi pagano il clima d’incertezza sul referendum
Il Quirinale e l’antidoto al veleno dell’instabilità
Mattarella
ha finora osservato uno scrupoloso silenzio, segnale di rispetto Ma non
è da escludere che dica una parola rassicurante prima del voto
di Stefano Folli
LA
CAMPAGNA referendaria è entrata nella sua ultima fase e lo spettacolo
non è certo incoraggiante. Anche l’ultimo episodio lo dimostra: la
commissione Antimafia presieduta da Rosy Bindi ha chiesto di verificare
le carte alla magistratura a proposito delle pressioni indebite del
presidente della Campania, De Luca, a favore del “Sì”. Un evidente
riflesso delle lotte interne al Pd fra renziani e anti-renziani in vista
del 4 dicembre, una lacerazione che attraversa il partito di governo e
che non comincia oggi.
In ogni caso, due
sono gli elementi che colpiscono l’attenzione. Il primo, sotto gli occhi
di tutti, è l’imbarbarimento dello scontro elettorale. L’accozzaglia,
la scrofa ferita e gli altri epiteti messi in campo rappresentano una
relativa novità per il costume politico italiano. Si obietta che il
recente duello in America fra Trump e Hillary Clinton ha visto di peggio
quanto a insulti e turpiloquio. È vero, ma si dimentica che negli Stati
Uniti era in palio il vertice del potere politico, mentre in Italia si
vota sulla Costituzione. Non è in ballo il rinnovo del Parlamento, bensì
la conferma o la riforma della Carta fondamentale: un tema che avrebbe
dovuto suggerire alle parti, in primo luogo al governo ma anche
all’opposizione, di restare sullo sfondo e di favorire, semmai, una
campagna pedagogica nel merito della nuova legge. Viceversa, siamo nel
pieno di una rissa in cui ognuno dei due principali contendenti, ossia
Renzi e Grillo (ma ora si fa avanti anche Berlusconi), ritiene
probabilmente a torto di ricavare qualche vantaggio dall’aver fatto
terra bruciata intorno all’avversario, suggerendo l’idea che ormai la
sfida in stile Ok Corral sia uno contro uno, come un duello a Tombstone.
Il
secondo è il senso di allarme e di inquietudine che serpeggia non tanto
in Italia quanto in Europa. Se ne fanno interpreti i mercati, ossia gli
operatori di Borsa e gli investitori: l’Italia rischia di piombare
nell’instabilità in caso di vittoria del “No”. Un’instabilità si ragiona
che rischia di portare al governo il partito antisistema di Beppe
Grillo. A quel punto, un passo dopo l’altro, il paese metterebbe in
discussione la moneta unica e avvierebbe il processo di distacco
dall’Unione. Una Brexit mediterranea, aggravata dal fatto che l’Italia, a
differenza del Regno Unito, aderisce all’euro.
Non
c’è molto realismo in questa analisi e in fondo il tema della stabilità
è troppo serio per ridurlo a uno schema polemico. I mercati scontano
già oggi l’incertezza, come si vede dallo “spread” in rialzo. L’esito
del referendum avrà inevitabili strascichi politici, ma questo accadrà
anche in caso di vittoria del “Sì”, quando la tentazione della
maggioranza di correre alle elezioni dopo aver corretto la legge
elettorale potrebbe diventare irresistibile. In ogni caso, lo scenario
del “No” potrà provocare delusione in chi crede nel processo di
ammodernamento istituzionale, ma non implica un tuffo inevitabile
nell’instabilità politica. A impedirlo c’è il Quirinale, il cui ruolo è
proprio quello di garantire l’equilibrio nei momenti difficili.
Sergio
Mattarella ha fin qui osservato, pubblicamente, uno scrupoloso
silenzio. Non lo ha interrotto nemmeno per redarguire i duellanti e per
rammentare che il confronto sulla Costituzione meriterebbe un dibattito
di ben altro livello. È una scelta che può lasciare perplessi, ma che
nasce da rispetto verso il processo referendario. Quello su cui non si
possono avere dubbi è che gli antidoti all’instabilità esistono e sono
tutti nelle mani del capo dello Stato. Su questo punto non si può
escludere che Mattarella decida di dire una parola rassicurante prima
del voto. In ogni caso, è evidente che il dopo Renzi potrebbe coincidere
con una nuova investitura dell’attuale premier, alla guida di un
governo di fine legislatura. Come ha detto ieri il ministro
Franceschini, voce autorevole nell’esecutivo, «Renzi deve rimanere anche
se vince il No». Il che conferma che nella maggioranza Pd-centristi
quasi nessuno vuole correre avventure. E di sicuro nessuno ha voglia di
elezioni anticipate se dovesse prevalere il “No”. Perché mai rischiare
una seconda e definitiva sconfitta?