giovedì 24 novembre 2016

La Stampa 24.11.16
Dubbi del Colle sull’opzione voto anticipato
di Ugo Magri

Chi ha parlato ultimamente con il premier, prima e dopo il colloquio di ieri al Quirinale, esclude che possa restare al suo posto in caso di sconfitta, perfino se fosse solo per una manciata di voti. Renzi ne farebbe legittimamente una questione di orgoglio e di integrità della propria immagine, dunque le sue dimissioni sarebbero inevitabili, idem l’apertura formale di una crisi al buio. Che, come tutte le crisi di governo, avrebbe l’effetto di rendere protagonista il Capo dello Stato nel suo ruolo di arbitro.
Per Sergio Mattarella si tratterebbe della prima vera prova da quando è stato eletto, il 31 gennaio 2015. In questi quasi due anni, il Presidente ha mostrato una forte vocazione all’ascolto del cosiddetto «Paese reale», limitando al minimo indispensabile le incursioni sul terreno della politica, e pure in quei rari casi è intervenuto con lo scrupolo evidentissimo di restare «super partes». Sono in molti dunque a chiedersi come si regolerebbe in quel caso il Garante.
Altrettanto numerosi quelli che non vorrebbero mai ritrovarsi nei suoi panni in un passaggio così delicato e indecifrabile.
In realtà, c’è poco da interrogarsi su cosa farebbe Mattarella. Nel caso in cui davvero Renzi si presentasse per dare le dimissioni, e non ci fosse modo di fargli cambiare idea, il Presidente si atterrebbe con molto scrupolo alla prassi costituzionale, da cui derivano comportamenti precisi, praticamente dei binari. Si farebbe un dibattito in Parlamento, verrebbero fissate le classiche consultazioni per individuare il successore del premier. Mattarella chiederebbe indicazioni a tutti, opposizione compresa. Ma sempre tenendo a mente che nel sistema attuale il Capo dello Stato non ha la bacchetta magica, gli mancano i super-poteri, e il pallino del gioco resta comunque in mano alla maggioranza. Dunque la prima verifica che effettuerà Mattarella, in caso di vittoria del No, sarà appunto: esiste ancora una maggioranza?
La presa d’atto sembra fin d’ora abbastanza scontata: una coalizione tra centristi e Pd esisterà anche dopo. Politicamente ammaccata dal referendum, certo, ma numericamente tale tanto alla Camera (grazie al famoso premio) quanto al Senato (per effetto delle scissioni nel centrodestra). Una volta accertato che così stanno le cose, Mattarella avrà l’obbligo di cercare una soluzione nell’ambito della maggioranza attuale. E lo farà, si può scommettere, con la dovuta pazienza, ma pure con la serenità di chi è convinto che non sono possibili soluzioni alternative. Di sicuro, non favorirà la scorciatoia delle elezioni anticipate, per due ragioni.
Anzitutto non è ben chiaro con quale sistema si andrebbe alle urne. Sull’«Italicum» pende il giudizio della Corte Costituzionale, che si pronuncerà a febbraio. E chi conosce gli umori della Consulta sostiene che già a settembre, se non ci fosse stato il rinvio, la legge elettorale sarebbe stata sicuramente bocciata. Insomma, per il sistema elettorale non tira una buona aria, e sarebbe da pazzi irresponsabili andare al voto con questa spada di Damocle. Inoltre, fanno notare autorevoli frequentatori del Colle, Mattarella potrebbe sciogliere il Parlamento e convocare nuove elezioni solo nel caso in cui Renzi e il Pd dichiarassero di non voler concorrere a nessun nuovo governo. Cioè si prendessero davanti all’Italia, e nelle dovute forme, la responsabilità di premere il tasto dell’auto-dissoluzione. Che si arrivi a questo punto, sono in pochi a crederlo. Tra i consiglieri del Presidente, quasi nessuno.