martedì 22 novembre 2016

Repubblica 22.11.16
Il terremoto
Fillon ha vinto le primarie perché è rassicurante
A lezione dalla Francia per fermare il populismo
L’ultradestra teme chi non divide e sa parlare al Paese profondo
La strategia di Renzi è diversa. Ma il duello ha lacerato gli elettori
di Stefano Folli

La violenza verbale delle due opposte propagande è il segno distintivo degli ultimi giorni di campagna elettorale. Un pessimo presagio per il dopo-referendum, quando si tratterà di ricucire il paese, ma tant’è. S’intende che ridurre il senso della consultazione a una specie di rissa fra Renzi e Grillo è un grave errore. Primo, perché distorce oltre ogni limite il senso del referendum sulla Costituzione; secondo, perché anticipa il futuro scontro elettorale fra un populismo “soft”, quello renziano, e un populismo “hard” di impronta Cinque Stelle. E anche questo è illogico perché l’architettura politica italiana è molto più complessa, tanto è vero che oggi il sistema risulta fondato non su due, ma su tre gambe.
Si paga il prezzo di aver trasformato il voto del 4 dicembre in una sorta di giudizio di Dio, spaccando a metà l’opinione pubblica con una punta di fanatismo. Il che va al di là della normale fisiologia referendaria e inquieta, fra gli altri, anche il padre della riforma, Giorgio Napolitano, che a “Porta a Porta” ha tentato distinguere due aspetti ormai intrecciati: il giudizio sulla riforma Boschi e quello sul governo, anzi sul premier in persona. Il groviglio non porta fortuna al “Sì”, al contrario tende ad appesantirlo come piombo.
Ma come si è detto più volte, il primo responsabile di aver personalizzato il referendum, trasformandolo in un plebiscito di fatto quando riteneva la vittoria a portata di mano, è stato il presidente del Consiglio. I suoi numerosi avversari - la famosa “accozzaglia”, definizione non proprio felice - si sono affrettati ad accettare il terreno di scontro a loro favorevole, perché permetteva di spostare l’attenzione dal merito della riforma ai limiti e agli errori dell’esecutivo. E siamo arrivati al clima morboso di questi giorni.
Eppure le notizie da Parigi dovrebbero insegnare qualcosa. La vittoria di Fillon al primo turno delle primarie del centrodestra viene giudicata da molti osservatori come la prima risposta degna di questo nome alla deriva nazional- populista di Marine Le Pen. Nessuno è in grado di predire se Fillon è davvero destinato all’Eliseo. Tuttavia egli sembra il politico più attrezzato per mettere in seria difficoltà il Front National. Non è un personaggio controverso, oltre che un cavallo di ritorno, come lo sconfitto Sarkozy, il più spregiudicato nell’usare la carta del populismo in concorrenza con l’estrema destra. Non è nemmeno il serio e competente Juppé, che appare comunque usurato agli occhi dei francesi per i lunghi anni in politica. Anche Fillon ha alle spalle varie esperienze di governo ed è stato primo ministro per un biennio, ma è riuscito con abilità ad apparire il più “nuovo” di tutti i candidati. Qualcuno lo ha descritto come un “ectoplasma”, il che non è proprio un complimento. Ma in questo caso vuole sottolineare la sua discrezione, la capacità di non bruciarsi con le luci del palcoscenico.
In altre parole, Fillon vince perché è rassicurante: non divide più di tanto gli elettori, non eccede in egocentrismo, sa parlare alla Francia profonda. Marine Le Pen lo teme e si capisce perché. Fillon è un conservatore che dà l’idea di difendere gli interessi della Francia senza usare toni sbagliati e senza colpi di testa con l’Europa. Non è un bersaglio facile in campagna elettorale come sarebbe stato Sarkozy. E il FN potrebbe essere indotto a spingersi ancora più a destra, con tutte le incognite del caso.
In altre parole, sebbene sia presto per dirlo, i francesi potrebbero aver trovato l’antidoto al “lepenismo”. Fenomeno che in Italia è surrogato da Salvini con esiti solo in parte significativi. Il vero movimento trasversale anti-sistema è, come noto, il M5S. Ma la strategia di Renzi non è quella di Fillon. E naturalmente nemmeno quella di Angela Merkel che tende a unire il paese dietro la sua candidatura e adombra una nuova grande coalizione in caso di vittoria. Qui siamo all’uno contro tutti in un duello rusticano al termine del quale potrebbero esserci solo vinti e nessun vincitore.