Repubblica 22.11.16
“Sì nonostante Renzi” Da Santoro a Lerner il partito del meno peggio
Non amano il premier, ma ora temono l’effetto Trump “Così corriamo il rischio di vedere i dilettanti al potere”
di Tommaso Ciriaco
ROMA.
C’è chi dice Sì, nonostante Matteo Renzi. È il partito della riforma
“turandosi il naso”, di quelli che il premier non va bene ma gli effetti
del No sono pure peggio. «Vedo la bocciatura del referendum – ha
dichiarato Gad Lerner – come una tappa di avvicinamento a un governo
cinquestelle che non auguro all’Italia. I dilettanti al potere, come
dice Grillo, mi preoccupano». La molla non è solo lo spettro di un
governo della Casaleggio associati, o comunque non per tutti. C’è
l’effetto Trump, la sopravvivenza del bicameralismo perfetto, il terrore
dello spread, l’horror vacui delle riforme, la chimera della stabilità.
Tutte buone ragioni, in ogni caso, che inducono Michele Santoro e
Gianni Cuperlo, Vittorio Feltri, Stefania Sandrelli e parecchi altri a
stampare una mega X sul Sì.
Che clamore quando Santoro si è
iscritto al club dei “nonostante”. Mai tenero con il premier, il
giornalista ha sorpreso tutti schierandosi con il restyling della
Costituzione: «La riforma poteva essere più condivisa? Certo. Scritta
meglio? Certo. Ma se vince il No i diritti di noi cittadini si
rafforzeranno? La democrazia sarà più forte? Vi prego, non rispondete
con un’altra domanda. O col solito vaffanculo ». Ecco un altro cruccio
di questo piccolo esercito: perché giocare con la tenuta del governo,
quando si balla sull’orlo del precipizio?
Nessuno (o quasi) di
questi sostenitori del Sì può considerarsi fan del premier. Lo era in
origine Briatore, ma rivendicando sempre un dna orgogliosamente
berlusconiano. Oggi la sua diserzione dal fronte del No la spiega così:
«Io non ho paura del diavolo. Non temo i comunisti perché non credo
mangino i bambini. E Renzi non mi sembra il prototipo del comunista ».
Neanche Stefania Sandrelli promuove a pieni voti il premier, ma aiuta
comunque il comitato pro riforma: «Cerchiamo di fidarci del meno peggio.
Il referendum è una occasione che non dobbiamo perdere».
Di
destra o di sinistra cambia poco, sempre di Sì sofferti si tratta.
Soffertissimo quello di Cuperlo, che ha strappato allo scadere l’impegno
di modificare l’Italicum e non si è accodato al resto della minoranza
dem. A scanso di equivoci, però, continua a duellare con il leader:
«Lavorerò per un’alternativa politica e culturale al renzismo». E che
dire di Arturo Parisi? L’ideatore dell’Ulivo sceglierà la riforma
“nonostante” il premier. Esattamente come il governatore della Toscana
Enrico Rossi, pronto in ogni caso a sfidare il segretario al congresso:
«Voterò Sì, malgrado Renzi. Il contenuto è avere una Camera che fa la
maggior parte delle leggi e un Senato rappresentante dei territori».
Sempre sul fianco progressista si espone Giuliano Pisapia, bocciando il
No da lidi certamente non renziani: «La democrazia non è in pericolo.
Quello di avere governi stabili è un bisogno reale».
Merito e
timori, vale tutto da queste parti. Feltri bacia la riforma dopo decenni
di berlusconismo e un presente con sfumature verdiniane. «Avrei
preferito la totale abolizione del Senato - precisa - però è sempre
meglio averne uno ridotto piuttosto che un bicameralismo perfetto». Da
Venezia, poi, un altro amico del Cavaliere come il sindaco Luigi
Brugnaro sceglie il Sì. La ragione? La palude del riformismo: «Dirò sì,
anche se sono d’accordo con Salvini e Brunetta sul fatto che la riforma
ha aspetti che non vanno. Bisogna fare. E se vince il No ci vorranno
almeno altri sei anni per un’altra riforma».
Alla fine sempre al
destino della sinistra si torna. Ai suoi tormenti e alle sue
contraddizioni: «Se davvero Bersani pensa che Renzi stia alterando il
dna del Pd - ragiona il regista Paolo Virzì - allora perché dice che può
restare al suo posto anche se perde? Dichiari che il No serve a
cacciarlo. Non so se sottoscriverei, ma lo capirei». Anche il
“nonostante” a volte vacilla.