Repubblica 22.11.16
Francesco e l’amore più forte della legge
di Vito Mancuso
«FAR
comprendere il mistero dell’amore di Dio», scrive papa Francesco nella
lettera apostolica di chiusura dell’anno giubilare, ma il termine
«mistero» lo si può, anzi lo si deve, applicare all’amore in quanto
tale.
AMORE? Perdono? In questo mondo dove tutto è calcolo,
tecnica, prestazione; in questo mondo dove tutto risponde a una logica
del legale, dell’utile, del redditizio, del necessario; in questo mondo
dove sempre e comunque tutti devono pagare ogni cosa con il denaro ma
ancor più con la libertà, il tempo, la vita; in questo mondo di forti,
furbi, potenti e prepotenti, in questo mondo che così è e sempre così
sarà, il compito della Chiesa, dichiara finalmente un Papa, è un altro:
non di essere l’ennesima istituzione governata dal potere e dalla
ricchezza, ma di essere “segno di contraddizione”, paradosso, scandalo, e
così di rimandare a un altro stile e a un’altra possibile vita. È
l’utopia della gratuità, del disinteresse, della generosità, della
nobiltà d’animo: di tutto ciò a cui Francesco si riferisce dicendo
«misericordia». Questa parola un po’ oleosa e consunta per il linguaggio
contemporaneo, e che nessuno quasi usa più, acquista con lui un sapore
nuovo e una freschezza inaspettata.
Per il mondo in cui viviamo e
lavoriamo la legge è e sarà sempre importante, esso non ne può fare a
meno, come non può fare a meno della spada per punire i trasgressori.
Però il compito di quella pazzia che si chiama cristianesimo è un altro.
E finalmente da oltre tre anni è arrivato un Papa «dalla fine del
mondo» a ribadire che la Chiesa esiste per indicare che al fondo delle
nostre esistenze vi è qualcosa di più importante della legge e
dell’ordine, ed è l’essere umano nella sua concretezza. Comprensivo di
quei disordini umani che la Chiesa chiama “peccati”. E di quel disordine
assai particolare che è l’aborto.
Non che per il Papa i peccati
non siano più rilevanti e l’aborto non sia più un peccato. Anzi: «Vorrei
ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché
pone fine a una vita innocente». L’aborto in quanto tale non sarà mai
accettabile dalla coscienza cristiana perché essa è convinta che di
fronte a una vita diversa dalla propria la signoria dell’Io debba
fermarsi e procedere nel massimo rispetto, all’insegna della
non-violenza e di quella cultura della pace che si auspica venga
applicata dagli Stati nel risolvere i conflitti e da sempre più persone
nell’alimentazione e nel trattare gli animali. Quell’esserino chiamato
al mondo a sua insaputa, e che ora nel ventre materno vuole solo vivere,
va protetto e lasciato sussistere nel suo slancio vitale: non c’è
bisogno di essere cristiani per riconoscerlo, tutte le religioni lo
fanno, così come numerosi filosofi tra cui Giordano Bruno e Norberto
Bobbio. Ma una cosa è l’aborto, un’altra cosa è la donna che abortisce e
il medico che le procura l’aborto. Se queste persone comprendono il
male commesso verso quell’esserino innocente (a volte procurato per
evitare altri mali più incombenti), la Chiesa di Francesco è pronta a
concedere il perdono nel modo più semplice perché ciò che finora era
riservato ai vescovi viene ora concesso ordinariamente a tutti i
sacerdoti. Scrive il Papa: «Concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti la
facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto». Perché?
Perché «posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la
misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere ».
Siamo
lontani anni luce da quell’intransigenza che nel 2009 portò un vescovo
brasiliano a scomunicare la madre e i medici che avevano fatto abortire
una bambina di soli 9 anni, incinta a seguito delle violenze del
patrigno e che rischiava la vita anche per il fatto che si sarebbe
trattato di un parto gemellare. A quel tempo dal Vaticano il portavoce
del Pontificio Consiglio per la Famiglia sostenne il vescovo, affermando
che la Chiesa «non può mai tradire il suo annuncio, che è quello di
difendere la vita dal concepimento fino al suo termine naturale, anche
di fronte a un dramma umano così forte». Papa Francesco dice invece
un’altra cosa: posiziona la Chiesa non più in difesa come una rigida
sentinella, ma in attacco, nel centro del mondo, per annunciare la
follia dell’amore universale da lui chiamato misericordia. Questa sua
posizione potrà aprire un dibattito sul numero sempre più alto di medici
obiettori? Se è vero infatti che l’aborto è sempre un male, è
altrettanto vero che talora (per esempio nel caso di stupro o di
pericolo di vita della madre) è un male necessario per evitarne di
maggiori.
I non pochi denigratori del Papa avranno ora ulteriori
argomenti per accusarlo di lassismo. Ma non sanno quello che dicono. Non
c’è la minima traccia di lassismo in questo documento, né nell’intera
predicazione, né nell’austera persona di papa Francesco. C’è semmai
l’attento rigore di chi ha veramente capito in cosa consiste la
rivoluzione evangelica, troppe volte tradita dagli apparati
ecclesiastici, preoccupati del potere e dell’ordine, e non di essere
coerenti con quell’amore evangelico che vuole sempre e solo il bene
concreto della persona concreta, e che per questo sa essere più forte
anche della legge, compresa quella ecclesiastica.