lunedì 21 novembre 2016

Repubblica 21.11.16
Corea del sud
La presidente Park e l’amica sciamana il “castello di carte” che scuote Seul
La leader è indagata per corruzione. Proteste in piazza per chiederne le dimissioni
di Angelo Aquaro

PECHINO. House of Cards: non è altro che una house of cards.
Ma si sarà reso conto, il portavoce della presidenza, accusando i magistrati di aver costruito un “castello di carte”, che in tutto il mondo House of Cards è diventato ormai un marchio legato alle malefatte di Kevin Spacey alias Frank Underwood? Poco importa: l’inchiesta che a questo punto vede la presidenta Park Geun-hye ufficialmente indagata per “attività criminale” ormai da tempo mischia fiction e realtà, personaggi che sembrano usciti da una telenovela e insospettabili manager delle mitiche chaebol, gli agglomerati industriali che portano nomi famosi in tutto il modo come Samsung e Hyundai. Sì, mezzo milione di persone sono scese in piazza questo sabato, una marcia da un milione di contestatori ha invaso Seul la settimana scorsa e la mobilitazione non si placa, tutto il Paese è sottosopra e l’economia è semplicemente sotto, in calo le esportazioni del 3.2%, in calo la produzione industriale del 2%, la crescita del Pil ridimensionata dal 2.8% al 2.5% e il governo praticamente paralizzato dalla gravissima crisi istituzionale. E però no, la signora Park, che mica per niente è figlia dell’ex dittatore, non vuole mollare, piuttosto che dimettersi rischia di far avviare l’impeachment, la cacciata decisa dal parlamento che può aggravare ancora di più la crisi anche economica, perché invece dei 60 giorni che ci vorrebbero per indire nuove elezioni (tra i possibili candidati, ricordate il leader dell’Onu Ban Ki-moon?) la procedura costringerebbe a un iter lungo minimo sei mesi. Ma finirà davvero così?
La procura non può incriminare formalmente un presidente in carica, lo dice la Costituzione, ma se è per questo sono giorni che non può neppure interrogarla: e la “testimonianza” ufficialmente promessa a questo punto potrebbe anche non arrivare più. Eppure le tesi dei magistrati sono solidissime: la figlia dell’ex dittatore è accusata di complicità con la sua amica Choi Soon-sil, anche lei figlia di, in questo caso dello sciamano che già soggiogò suo padre. Un vero e proprio ring per costringere le più grandi compagnie del paese, una cinquantina in tutto, a versare 65 milioni di dollari alle fondazioni di famiglia. Oltre a procacciare alla stessa combriccola contratti per 12 milioni di dollari. Oltre a far sborsare altri 5.9 milioni di dollari a un’altra chaebol, in questo caso la Lotte.
E pensare che quattro anni fa l’elezione di Park fece davvero storia: la prima donna al comando. Invece adesso diventa pubblica questa storiaccia che per la verità era sempre circolata come chiacchiera, la signora praticamente schiava della sua amica- sciamana, l’inarrestabile Soon-sil vera padrona della ”Blue House”, la dimora presidenziale, correggeva perfino i discorsi ufficiali. Sembra un romanzo invece è soltanto il frutto della storia impazzita di qui. Perché Geun-hye raccoglie un’eredità pesantissima, quella del padre Park Chung-hee, il dittatore ucciso nel 1979 dal suo stesso capo della sicurezza dopo essere sopravvissuto a diversi golpe: dal tristemente celebre assalto alla “Blue House” che nel 1968 fece 30 morti a quell’altro in cui perse invece la vita la moglie Yuk Young-soo. Un despota: al governo per 18 anni. Eppure considerato padre della patria. Perché è con lui che la Corea del Sud, che agli inizi degli Anni ’60 era più povera della Repubblica Democratica del Congo, diventa la Tigre dell’economia che l’Occidente non ha smesso di ammirare. Certo, un’industrializzazione segnata anche qui da familismo e corruzione, tutto il potere economico delegato alle chaebol come Samsung, Hyundai, Daewoo, Lg: che in cambio naturalmente hanno sempre nutrito la politica, tant’è che almeno sei leader prima della signora sono finiti nei guai, uno perfino suicida. «È la debolezza del sistema Stato-famiglia», dice a Repubblica Sea-Jin Chang, uno dei più grandi studiosi del miracolo coreano «e gli elettori ne terranno conto nelle prossime elezioni». Sì, ma quando?
Park è l’ultimo anello di questa catena arrugginita e il suo appeal era rimasto mica per niente attaccato alla figura paterna: tutti ricordano la giovane Geun-hye a fianco del padre, first lady mica sua sponte dopo l’uccisione della mamma. E indovinate chi c’era già allora a tramare? Il padre della sua amichetta, Choi Tae-min lo sciamano, un potere senza freni riassunto nella definizione di “Rasputin coreano” appiccicata da un diplomatico Usa in un cable reso pubblico da WikiLeaks. Di padre in figlia dunque: lo sciamano e il presidente, poi la figlia dello sciamano e la figlia del presidente, diventata presidenta lei stessa della Corea finalmente democratica — ma democratica quanto con il palazzo così sordo alle proteste? Sì, ha proprio ragione il portavoce presidenziale, anche se non è certo a questo che pensava: è una House of Cards, questa storia non è altro che House of Cards. Ma chi glielo dice alla signora Park che questa puntata è finita?