lunedì 21 novembre 2016

Repubblica 21.11.16
Il nuovo muro di Angela
La sua scelta va letta come testimonianza della coscienza dei pericoli che minacciano l’ordine mondiale
Le grandi crisi storiche impongono al vero capo politico di prendere su di sé delle responsabilità che prescindono dal proprio destino personale.
di Angelo Bolaffi

LA SOFFERTA decisione di Angela Merkel di candidarsi per la quarta volta alla guida della Germania va letta per questo come testimonianza della coscienza dei pericoli che minacciano l’ordine mondiale. E della necessità di fare delle Germania e attorno ad essa dell’Europa una sorta di antemurale capace di respingere la minaccia della demagogia populista che mira a sovvertire i valori politici e spirituali dell’Occidente liberale. Ed è fin troppo facile immaginare che l’inattesa vittoria di Donald Trump e il commosso commiato dalla politica mondiale preso proprio a Berlino da Barack Obama (ma anche le pericolose incertezze che si proiettano sul futuro di Paesi chiave del progetto europeista, come Italia, Austria, Francia e Olanda) abbiano contribuito a far superare alla cancelliera tedesca le ultime esitazioni. Cresciuta in un ambiente profondamente influenzato dalla religiosità luterana Angela Merkel, pur consapevole dei rischi di cui è carica questa sua scelta, ha ritenuto che qualunque altra decisione sarebbe stata interpretata come un segnale di resa dalle conseguenze imprevedibili. E, dunque, che fosse suo dovere agire coniugando etica della responsabilità ed etica della convinzione ripetendo a se stessa e al mondo: «Qui sto io e non posso fare altrimenti ».
Qualunque sarà l’esito della vicenda politica tedesca e delle elezioni politiche che si terranno in Germania nel settembre del prossimo anno che si preannunzia davvero “fatale” per il futuro destino europeo — nel 2017 ricorre anche il 60esimo anniversario della firma dei Trattati di Roma — con questa sua quarta candidatura alla Cancelleria in ogni caso Angela Merkel si è assicurata un posto nella galleria dei grandi statisti del secondo dopoguerra tedesco: accanto ad Adenauer che riportò la Germania dell’”anno zero” in Occidente, a Willy Brandt che fece fare pace alla Germania col mondo, a Helmut Schmidt che aiutò l’Europa a resistere alla minaccia sovietica e, infine, a Helmut Kohl il cancelliere della riunificazione del Paese dopo la caduta del Muro di Berlino.
Ma, come si diceva, quello che dovrà affrontare sarà per la Merkel un percorso pieno di insidie ad iniziare da quella più subdola ma anche in qualche modo ineluttabile: il rischio del progressivo appannamento del suo carisma personale prodotto dal tempo. Anche in considerazione del logoramento psico-fisico che provoca l’impegno del politico di professione quando, come nel suo caso, è inteso come vera e propria vocazione e non come mero esercizio di potere. E questo in un mondo totalmente interconnesso in cui ogni crisi locale può trasformarsi in minaccia globale. Inoltre dopo la grande popolarità conosciuta lo scorso anno per aver deciso di dare accoglienza a quasi un milione di profughi nel segno dell’ottimistico «noi ce la facciamo», gli ultimi mesi sono stati molto difficili per Angela Merkel. Una serie di sconfitte nelle elezioni regionali, l’emergere e poi il rafforzarsi nella destra dello schieramento politico del movimento-partito della Alternative für Deutschland sempre più orientato verso posizioni neonazionaliste e in qualche caso persino razziste ha provocato malumori profondi nel suo elettorato e aperte contestazioni nel suo stesso partito, e perfino a una sorta di guerra intestina con il partito “fratello” della Csu bavarese. Il futuro ci dirà se la generosa decisione annunciata ieri da Angela Merkel si rivelerà un azzardo o, invece, una scelta conseguente nel segno della razionalità politica capace di dare risposta alla sfide che porteranno la politica tedesca ad affrontare questioni del tutto inedite come l’inevitabile trasformazione della Germania in Paese di immigrazione. O la determinazione di assumere su di sé la leadership dell’intera Europa nel momento in cui questo compito appare improcrastinabile, basta pensare al minaccioso attivismo ad Oriente della Russia di Putin o al probabile allontanamento ad Occidente dell’America di Trump, se non al prezzo di un fallimento di cui proprio la Germania per ragioni storiche e geopolitiche sarebbe la prima a sopportare le dolorose conseguenze.