Corriere 21.11.16
Le ragioni di una scelta (quasi) inevitabile
di Danilo Taino
Guidare
un Paese per 12 anni è molto. Per 16 anni è pericoloso. L’elettorato si
stanca; la mancanza di alternanza al governo rafforza le incrostazioni e
non aiuta l’innovazione; il vertice bloccato innervosisce chi sta
sotto; l’Io del leader rischia di gonfiarsi. Angela Merkel ne è
cosciente: nei mesi scorsi ha preso in considerazione l’idea di non
candidarsi più alla guida della Germania. Mai per ragioni politiche,
solo per motivi personali e perché un senso di relatività ancora la
guida, dopo 11 anni di cancellierato, 12 quando andrà alle elezioni il
prossimo autunno. Ha poi preso atto: non poteva fare altro che
ripresentarsi per un quarto mandato.Nell’agosto 2015 ha lanciato la
sfida dell’integrazione di milioni di rifugiati: impossibile lasciarla a
metà, sulle spalle di altri. Negli scorsi due anni e mezzo ha
mobilitato e tenuto unita l’Europa sulle sanzioni a Mosca per
l’annessione della Crimea: impensabile andarsene ora che il nuovo
presidente Usa Donald Trump potrebbe cercare un accordo con Putin che
getterebbe la Ue nella crisi forse più drammatica della sua storia. Fin
qui, il senso di responsabilità. Poi, c’è qualcosa di più rischioso. Il
desiderio di smentire coloro che, sull’onda della crisi dei profughi,
prevedevano che Frau Merkel non sarebbe più stata cancelliera a fine
2016. E il fatto di non avere preparato un successore nella sua Cdu, il
partito più forte al quale con ogni probabilità toccherà la guida del
governo anche dopo il voto dell’autunno 2017. La scelta di ricandidarsi
annunciata ieri sera, dunque, è rischiosa ma quasi inevitabile. Vincerà?
Oggi, i sondaggi dicono di sì, ma non sono chiari su che alleanze dovrà
fare per garantire un governo. Una cosa certa è che sarà una nuova
Angela Merkel. L’apertura ai rifugiati ne ha cambiato la natura
politica, non più solo leader attendista. E la prospettiva di non
doversi candidare per un quinto mandato nel 2021 la renderà più audace.
Un po’.