domenica 20 novembre 2016

Repubblica 20.11.16
Trudeau e la sfida di un leader visionario
di Carlo Petrini

CAPITA alle volte, e per la verità non abbastanza di frequente, che alle assemblee delle Nazioni Unite si possano trovare delle piccole perle preziose che inaspettatamente riescono a emergere da uno sfondo spesso troppo formale e impettito.
Era capitato nel giugno del 2012, quando a Rio intervenne l’allora Presidente dell’Uruguay José “Pepe” Mujica, un outsider, un uomo anziano ma non stanco, che illuminò la sala piena di autorità polverose indicando la felicità come fine ultimo dell’uomo sulla Terra.
Questa volta, invece, tocca a un personaggio molto diverso, ma molto interessante.
Justin Trudeau, liberale, classe 1971, da un anno è il primo ministro canadese. A fine settembre anche lui ha tenuto un discorso alle Nazioni Unite che non è passato inosservato, e che sta tornando alla ribalta proprio in questi primi giorni dell’era di Donald Trump. Su Youtube aumentano le visualizzazioni, ed è ripartito il tam tam delle condivisioni sui social network. Non che questo giovane capo di governo abbia mai tenuto un profilo basso: si tratta sicuramente di un personaggio mediatico con tutte le carte in regola per vincere la sfida della comunicazione contemporanea, e ne sta dando ampia prova.
All’alba del risultato delle elezioni americane, in Italia, diverse testate nazionali riportavano la notizia di come il sito Internet del governo canadese dedicato all’immigrazione fosse crollato a causa dello sproporzionato numero di accessi provenienti dagli Stati Uniti, dove i cittadini cercavano probabilmente di fare mente locale rispetto al futuro dopo lo shock elettorale. In effetti, con un primo ministro così come vicino di casa, non è certo difficile crederlo.
Trudeau si propone come un giovane forte delle sue idee, come un leader pacato ma convinto della sua visione politica, e che va ben oltre la necessità di far quadrare i conti del Paese e di amministrare la cosa pubblica come una macchina ben funzionante.
La sua direzione è stata chiara fin dalla campagna elettorale, e fin dal principio ha dichiarato di volersi impegnare con forza sulle grandi sfide di questo secolo: il fenomeno delle migrazioni e quello dei cambiamenti climatici. Certo, questo presuppone che il Canada, sotto la sua guida, torni a rivestire un ruolo rilevante sul palcoscenico politico internazionale, un’ambizione che non aveva caratterizzato la presidenza del suo predecessore Bob Rae, conservatore e fortemente orientato alle questioni interne. A differenza di Rae, Trudeau sembra più consapevole del fatto che queste sfide, in quanto globali, non permettono più al suo Paese di guardare solo al proprio ombelico, come se il resto del mondo non fosse lì o come se non potesse influenzare i destini del Canada, né esserne influenzato.
Innovativo ma non giovanilistico, con una buona attitudine alla telecamera, ma senza fare sfoggio pavonesco della propria persona, Trudeau sembra la foto del Canada che sogna: educato, sensibile, visionario ma non eccentrico, e il suo discorso nell’era dei trionfi populisti sembra una boccata d’aria fresca.
Non so se sia giusto cercare la speranza nel singolo uomo, tuttavia penso che la si possa trovare nella forza di un’idea di inclusività che è ancora largamente condivisa e che non può finire con l’essere soffocata dalle crescenti tensioni sociali, né deve essere svilita da chi queste paure ha imparato a cavalcarle. «Abbiamo bisogno di risposte alle nostra ansie, non di qualcuno che le sfrutti», un messaggio tanto semplice quanto chiaro, che ha un disperato bisogno di portavoce forti.
Finalmente possiamo sentire dalla viva voce di un leader occidentale un ragionamento idealista ma non sensazionalista; finalmente vedo degli occhi puntati al cielo e dei piedi ben saldi in terra.
Vi invito a cercare su Internet questo discorso, e a guardare e ascoltare con attenzione. Perché se in questi tempi un po’ cupi, fatti di urla e strepiti, di rabbia, di odio, di governi che mirano alla crescita che si esprime in punti di percentuale ce ne fossimo dimenticati, questa è la politica. Per questo sono convinto che dovremo tenere gli occhi ben puntati su Trudeau, augurargli buon lavoro dal cuore, e sperare che il suo approccio trovi terreno fertile non solo in Canada, ma in tutto questo malandato e impaurito occidente.