sabato 19 novembre 2016

Repubblica 19.11.16
“La storia non è un romanzo” L’ultima lezione di Ricoeur
Dopo trent’anni riecco “Tempo e racconto”, l’opera più matura del filosofo francese. Che indaga sul nostro rapporto con il passato
di Lucio Villari

Sono trascorsi più di trent’anni, ma Tempo e racconto di Paul Ricoeur non riesce a diventare un tranquillo classico della riflessione filosofica della storia. È un libro sepmre vivo, pieno di curiosità e di provocazioni. Lo sa bene la casa editrice italiana, Jaca Book, che, dopo averlo pubblicato nel 1986 ora ne fa un utile reprint.
L’idea più nota della ricerca di Ricoeur è che la storia è soprattutto interpretazione e che la metafora possa essere una delle chiavi per “aprire” il passato e i segreti di cui è fatta la storia. Ma la vitalità di Tempo e racconto sta nel fatto, come egli scrive, che «il problema dello statuto narrativo della storiografia non ha rappresentato una posta in gioco diretta dell’epistemologia delle scienze storiche », né in Francia né altrove, cosicché la «comprensione narrativa veniva così ad essere sopraelevata, mentre la spiegazione storica perdeva quota».
In altre parole, la narrazione quasi sempre piacevole, o comunque interessante, ha sostituito, o “abbreviato” la storia rendendola sostanzialmente un bene di consumo. La storia però non è un usa e getta ma un problema della conoscenza, della vita morale, della consapevolezza esistenziale di ciascuno. O almeno così dovrebbe essere. C’è in proposito una riflessione di André Malraux (l’autore de
La condizione umana) sulla quale potrebbe scorrere anche la ricerca analitica di Ricoeur: «Come si può sfruttare meglio la propria vita? Convertendo in pensiero consapevole la maggior quantità possibile di esperienza ». E l’esperienza non è solo la propria ma quella di una società, di un popolo, di un tempo condiviso, o anche di una cultura condivisa. Di qui l’importanza della conoscenza del passato nell’educazione sentimentale e culturale dei giovani.
Per Ricoeur il fatto è evidente e chiarisce un punto molto controverso, quasi un luogo comune, del problema: «Il futuro nasce dalla memoria». Infatti, in una intervista del settembre 2000 al Magazine Littéraire, alla domanda apparentemente semplice «che cosa significa per l’uomo avere la memoria? », Ricoeur rispondeva dando un significato “dinamico”al rapporto individuale (ma vale anche per quello collettivo) del presente col passato: «Col tempo noi cambiamo. Come posso restare lo stesso se io cambio? La coscienza di sé non è una identità invariabile. Al contrario, si tratta di una identità narrativa, costruita cioè nel cambiamento. Per questo occorre che io abbia conservato qualcosa del passato per poter costruire con le sue tracce un’orizzonte di progetto. Non si può separare la memoria dal progetto e quindi dal futuro. Noi ci troviamo sempre tra il riepilogo di noi stessi, la volontà di dare un significato a tutto ciò che ci è capitato, e la proiezione nelle intenzioni, nelle aspettative, nelle cose da fare».
Dunque, la percezione individuale della storia è anche questo, conquista di una conoscenza, e di una dimensione “sacra” (un credente direbbe religiosa) dell’esistere. È tale conoscenza che «libera il fondo dell’uomo, nascosto sotto una spessa coltre di cattiveria». Con accenti attuali Ricoeur afferma la verità laica nella quale noi ci riconosciamo pienamente: «La religione non è fatta per condannare. È invece una parola che dice “Tu vali più delle tue azioni“».
Ecco allora che il racconto del passato, cioè la narrazione dei fatti storici, è un problema della filosofia oltre che della storiografia. «Cerco perciò — dice Ricoeur — di equilibrare l’idea di un imperativo della memoria con quella di un lavoro della memoria». È questo lavoro che stabilizza la conoscenza del passato con la responsabilità di colui che di questo passato legge il “racconto”.
Paul Ricoeur, morto novantenne nel 2005, è stato un pensatore tra i più problematici della cultura francese del Novecento, acuto filosofo non della storia ma sulla storia: «Seguire una storia, infatti, significa capire una successione di azioni, di pensieri, di sentimenti, che presentano al tempo stesso una certa direzione ma anche delle sorprese (coincidenze, riconoscimenti, rivelazioni, ecc.). Pertanto, la conclusione della storia non è mai deducibile o predicibile. Per questo bisogna seguire lo svolgimento».
Questa riflessione, che libera la ricerca storica da pregiudizi e costrizioni varie, si trova in un’altra raccolta di saggi che la Jaca Book ha pubblicato insieme col volume di cui parliamo e il cui titolo conferma la dimensione dinamica della narrazione e della “letterarietà” storica:
Dal testo all’azione. Nel senso che la scientificità dell’analisi può solo arricchirsi della drammaticità della narrazione. Lo stesso vale, ad esempio, nel rapporto tra etica e politica dove il dinamismo di Ricoeur suggerisce una interpretazione di questo rapporto meno moralistica e più orientata a una loro “intersezione”, nel senso che la razionalità politica più che a una astratta etica va confrontata e contrapposta alla razionalità economico-sociale. Molta storia attuale sembra dare ragione a Ricoeur.
IL SAGGIO Tempo e racconto Volume 1 di Paul Ricoeur (Jaca Book, traduzione di Giuseppe Grampa pagg. 340, euro 28)