Avvenire 15.11.16
Idee. Fragili e religiosi, un binomio vincente
di Zygmunt Bauman
Per
Zygmunt Bauman l’eternità di Dio si specchia nella nostra
insufficienza: questo stato di cose ci porta a chiedere senso alla vita
«Non
c'è più religione... Dio è morto». Lo sentiamo ripetere di continuo, e
qualcuno di quelli che si lanciano in affermazioni del genere pretendono
di avvalorarle anche con l'autorità dei fatti: quanti sono oggi, per
dire, i neonati che vengono portati in chiesa per essere battezzati, e
non è forse vero che il numero delle persone che frequentano la messa
domenicale è in calo – perlomeno in Gran Bretagna o nei paesi
nordici?... Questi dati vengono trascelti proprio con l'intento di
appoggiare la tesi, e la loro reiterata ripetizione mira a far sì che,
come accade con tutti gli altri pregiudizi, alla fine l'affermazione sia
considerata ben fondata e creduta vera. Ma, svolgono essi il compito
loro assegnato? Forse lo farebbero, se non fosse per l'enorme e
crescente volume di altri fatti che suggeriscono – e dimostrano – la
diagnosi esattamente contraria: e cioè che la religione esiste e
continua ad avere forza e influenza, e che i necrologi per Dio sono,
quantomeno, assolutamente prematuri. Molta acqua è passata sotto i ponti
di tutti i fiumi del mondo, da quando Friedrich Nietzsche, uno dei
giganti della filosofia moderna, scrisse nella Gaia scienza (1882) che
«Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci
consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più
sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è
dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue?
Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali
giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la
grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dei, per
apparire almeno degni di essa?». Ma Dio è ancora ben vivo, come senza
dubbio lo sono – e anche ben visibili – le religioni, che poggiano sulla
sua immortale onnipresenza: contrariamente all'orgogliosa
rivendicazione della mente moderna secondo cui noi, uomini, siamo
pienamente in grado di afferrare, comprendere, descrivere, affrontare e
gestire il mondo e la nostra presenza in esso in perfetta autonomia; e
contrariamente alla nostra proclamata intenzione di mettere il mondo
sotto l'amministrazione unica di noi, uomini, armati come siamo di
ragione e dei suoi due germogli: la scienza e la tecnologia.In netto
contrasto con la loro promessa, quelle armi non sono riuscite a dotare
noi, umani mortali, dell'onnipotenza – che e il tratto che definisce il
Dio immortale – ed e sempre meno probabile che con tutte le loro
scoperte e invenzioni terrificanti lo possano mai fare. L'impressione e
che, ove mai Dio «morisse» – e cioè, esiliato dal nostro pensiero,
espatriato dalle nostre vite, cessasse di essere punto di riferimento e
di appello e fosse sostanzialmente dimenticato – ciò accadrebbe solo
insieme con la morte dell'umanità.Se ci chiediamo perché è così e perché
così deve essere, la risposta è che Dio sta per la nostra
insufficienza, l'insufficienza di noi esseri umani – secondo la
memorabile formulazione del grande filosofo polacco Leszek Kolakowski:
insufficienza del nostro pensiero e della nostra capacita pratica;
insufficienza che e del tutto improbabile possa mai essere superata. Ci
sono fenomeni di cui non possiamo non essere consapevoli . come per
esempio l'eternità e liinfinito, o al perché e per che cosa noi
esistiamo, e perché c'è qualcosa piuttosto che il nulla, fenomeni e
interrogativi che nonostante i più grandi sforzi delle menti umane più
eccelse noi mai comprenderemo perché vanno ben oltre il regno
dell'esperienza umana entro il quale la nostra ragione, la nostra
scienza e tecnologia operano e a cui esse sono costrette a rimanere
confinate.E ci sono fenomeni di cui dovremo prima o poi prendere
consapevolezza, che non si sottometteranno mai al nostro – di esseri
umani – controllo e gestione. In parole povere, ci sono limiti
insuperabili a quello che noi possiamo sapere e a quello che possiamo
fare. Il fatto che Dio sta per questi due tipi di fenomeni e insieme il
fatto che noi siamo condannati a rimanere insufficienti assicurano nel
loro intreccio l'eterna presenza di Dio nella condizione esistenziale
dell'uomo. In altre parole: l'eternità di Dio, e l'eternità delle
religioni che cercano di rendere vivibile la vita vissuta con la
consapevolezza di tutti questi paradossi, sono garantite
dall'immortalità (se misurata con i metri umani) della endemica
insufficienza umana.