Repubblica 19.11.16
De Luca, le parole della violenza e la politica che perde il rispetto
di Roberto Saviano
COSA
significa, in terra di camorra, in quella che era conosciuta come terra
di lavoro e ora invece è terra di disoccupazione, la condanna a nove
anni per concorso esterno in associazione mafiosa a Nicola Cosentino, ex
sottosegretario all’economia e fedelissimo dell’allora presidente del
Consiglio Silvio Berlusconi? Significa sancire una sconfitta, non certo
una vittoria. La sconfitta di chi in questi lunghi anni ha raccontato i
rapporti tra criminalità e politica e con la sentenza ha avuto ragione.
La sconfitta di chi credeva di poter immaginare un percorso diverso dove
l’imprenditoria che va avanti, quella che crea ricchezza e che cresce,
può essere imprenditoria legale, che vince onestamente. La sconfitta di
chi nella politica — sono rimasti in pochi — vede ancora possibilità di
cambiamento. Di chi ancora crede che la politica debba indicare una
direzione, essere visionaria, dare l’esempio.
E NELLE ore in cui
si ragionava su cosa significasse quella condanna — una condanna in
primo grado arrivata dopo 141 udienze e oltre 200 testimoni ascoltati —
ad abbassare il livello, a svilire ulteriormente il tenore del dibattito
politico in un Paese che già crede che chi fa politica sia un ladro o
un buffone, arrivano le pietre (pietre e non parole) che il governatore
della Campania Vincenzo De Luca lancia a Rosy Bindi, presidente della
Commissione parlamentare antimafia, colpevole, secondo De Luca, di
averlo inserito nella lista degli impresentabili alla Regionali del 2015
per un procedimento penale legato alla vicenda del Sea Park mai
realizzato a Salerno, processo all’esito del quale De Luca è stato, lo
scorso settembre, assolto.
Per me De Luca impresentabile resta,
non alle elezioni ma davanti ai suoi elettori, davanti agli italiani e
ai cittadini campani, per la mancanza di consapevolezza del suo ruolo e
l’incapacità di comprendere che il territorio su cui come governatore
agisce, dà a termini come «infame» e a espressioni come «si dovrebbe
ammazzare», significati precisi, che quotidianamente trovano una
declinazione pratica.
E allora mi sono chiesto se Cosentino,
condannato a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa,
avrebbe mai potuto pronunciare le parole che De Luca si è fatto scappare
a margine dell’intervista a “Matrix”. Me lo sono chiesto e mi sono
riposto di no, perché Cosentino è nato e cresciuto in un territorio in
guerra, quello dominato dal clan del casalesi; perché Cosentino sa e ha
sempre saputo che dare dell’infame, esplicitare desideri di morte, hanno
significati precisi.
Come lo sa chi vive in determinate realtà
pur non essendo camorrista. Sono messaggi che le organizzazioni
criminali mandano, ordini che comunicano. Sentenze che decretano. Da qui
la consapevolezza di quanto De Luca, da governatore della Campania, sia
in realtà completamente inconsapevole rispetto al suo ruolo e rispetto a
cosa voglia dire essere Politica in Campania. Perché la Politica non
deve solo fare, ma anche essere. Essere rispetto, essere esempio, essere
visione.
Ma non voglio speculare sulle parole, perché in tutta
onestà non credo che il governatore De Luca abbia mai avuto legami con
la criminalità organizzata e spero di non essere mai smentito su questo,
ma si è sempre presentato come un politico del fare e quindi mi sento
legittimato nel domandargli dove sono le telecamere di videosorveglianza
che dopo la morte di Gennaro Cesarano, avvenuta a settembre del 2015,
aveva promesso come urgente priorità al Quartiere Sanità? Le telecamere
sono state messe nelle zone turistiche, ma alla Sanità ha paura a
camminarci chi ci vive, figuriamoci se ci vanno i turisti. È dal 6
settembre 2015 che gli abitanti della Sanità aspettano le 13 telecamere e
i rilevatori di targa che ancora non ci sono e che avrebbero un effetto
deterrente immediato. De Luca uomo del fare, De Luca fulmine di guerra,
cosa sta aspettando?
E ancora più grave considero la vicenda che
riguarda la chiusura dell’Ospedale San Gennaro di cui si sta
meritoriamente occupando tra gli altri padre Alex Zanotelli. Alla Sanità
un ospedale non è solo un luogo dove si va per farsi curare, ma un
presidio di legalità. Il primo reparto a essere chiuso è stato il più
importante di tutti, il reparto maternità. E il danno è stato enorme
perché ostetrici e ginecologi sono medici particolari, entrano nelle
famiglie e in quel quartiere prendevano in cura tutti, dando consigli
sull’alimentazione, provando a far diminuire il consumo di sigarette,
facendo prevenzione. Come è possibile non capire quali saranno le
conseguenze del mancato rispetto degli accordi con il territorio? Come è
possibile che anche chiudere l’ospedale San Gennaro alla Sanità avrà
ripercussioni nefaste sul contrasto alla criminalità organizzata?
Ma
poi mi domando quale sia la differenza tra il dare della cagna a una
donna come ha fatto Trump e chiamare infame un’altra e dire «sarebbe da
ammazzare ». Nessuna: una violenza verbale premiata dall’elettorato che
la ritiene garanzia di sincerità e quindi di onestà politica. Una
violenza verbale calata in una realtà, quella che viviamo, in cui i
ragazzini impugnano armi e altri si fanno saltare in aria. Quando capirà
questa politica che le parole sono creazione di azioni? Che quando la
politica parla male agisce male, quando parla violentemente agisce
violentemente. Come dannazione non capirlo?