sabato 19 novembre 2016

Corriere 19.11.16
Renzi: partita aperta Con il 60% alle urne saremo noi a vincere
«I sondaggi? Non ne hanno azzeccata una»
E traccia il bilancio di mille giorni al governo
di Marco Galluzzo

ROMA Inizia il giorno numero mille del suo governo a Berlino, con Obama e la Merkel, ma è una visita molta rapida, all’ora di pranzo è di nuovo a Roma e di nuovo alle prese con il referendum, per nulla preoccupato dai sondaggi: «Fare politica significa non inseguirli, ma provare a cambiarli». E poi «c’è un numero altissimo di indecisi, la partita è aperta», e «i sondaggi non ne hanno azzeccata una nel 2016, noi stiamo provando a fare la storia. Il nostro obiettivo è il 60% di affluenza, perché la pancia del Paese vuole il cambiamento».
Matteo Renzi si muove fra Berlino, un convegno dell’Ncd e una conferenza stampa a Palazzo Chigi per un bilancio dei mille giorni del suo esecutivo, senza risparmiare dichiarazioni. Bankitalia ha lanciato una sorta di avvertimento: nei giorni del referendum ci sarà un forte rischio di volatilità sui mercati finanziari. Un rischio che il premier dimostra di condividere, pur invitando alla moderazione: «Esiste una connessione tra economia e riforme ma non è questa la carta della paura che dobbiamo giocare. Con le riforme il Pil va su e lo spread va giù. È chiaro che nel momento in cui c’è tensione politica risale lo spread, ma non dobbiamo evocare le cavallette, anche per evitare che ci siano ripercussioni di natura economica lavoriamo per il Sì».
Con il passare dei giorni la comunicazione appare meno filtrata dalla prudenza, si avvicina il referendum e anche il messaggio di Renzi va cambiando, si fa più esplicito. Uno degli obiettivi, anche se spesso indiretti, è la minoranza del suo partito: «Se dovesse vincere il No ve lo vedrete il film dei talk show che dicono che la Casta non cambia. La parola coraggio è la parola della politica perché è bello poterci provare: se uno non ci mette il cuore che ci sta a fare in politica? Da 1000 giorni a 41 anni ho l’onore più grande di servire il nostro Paese, guido pro tempore l’esecutivo della sesta o settima potenza mondiale. La sera penso a cambiare la vita delle persone. Se il cambiamento va in porto la politica sarà autorizzata, quasi in dovere, di andare da tutti quelli che non hanno cambiato in questi anni, non solo la politica ma anche l’informazione, l’accademia, l’imprenditoria, e a dire “ora o mai più”. Il coraggio non va di moda: scommettere sul fallimento degli altri è molto più figo, molto più smart. Ma tirarsi su le maniche dà un senso all’impegno nella cosa pubblica».
E fra chi scommette sul fallimento degli altri, e cioè in primo luogo sul suo fallimento, Renzi vede in primo luogo la minoranza del Pd: «Negli ultimi 20-30 anni tutti hanno lavorato per arrivare all’appuntamento che noi possiamo vivere il 4 dicembre. Ma alcuni di loro hanno cambiato idea durante il tragitto. Si dice che cambiare idea è segno di intelligenza: se è così, noi siamo notoriamente un Paese di geni, è meraviglioso vedere tutti quelli che hanno votato Sì in Parlamento e poi ora dicono No», dice con un riferimento a Bersani sempre più esplicito.
«Il punto è che ci sono stati anni e anni di attesa prima di arrivare a questo appuntamento e allora godiamocela, andiamo incontro alle persone. E quando ci sarà calma, comunque vada a finire, la storia di chi ha votato sì tre volte e poi ha cambiato idea — perché ha perso il posto, perché non è più ministro, perché immagina che questo sia il congresso del partito — questa storia rimarrà agli atti. Non per l’incoerenza, ma come desolazione della politica», è ancora il riferimento all’ex segretario del Pd.
E comunque, si consola Renzi, anche «se ci sono tantissime cose che ho da rimproverarmi», il tasso di fedeltà degli elettori del Pd al Sì «è del 90%, una cifra pazzesca».