il manifesto 19.11.16
Le fanfare della vittoria del No
di Norma Rangeri
Il
No ha vinto. La fanfara dei sondaggi ieri annunciava la vittoria su
tutti i giornali. Dovessimo credere alle percentuali sfornate dalla
malconcia categoria dei sondaggisti, il No avrebbe già vinto con almeno 6
punti di vantaggio. Naturalmente la notizia era accompagnata da
ponderose riflessioni e acute cronache sugli esiti catastrofici che ne
seguirebbero. Governicchio, spread, Pd in rapida dissoluzione, banche in
vendita senza acquirenti.
Dare in vantaggio il No e prevedere le
cavallette dei mercati pronte a dare l’assalto alla nostra fragile
ripresa economica faceva parte del medesimo quadro.
Quasi un
ultimo appello per questi quindici giorni che ancora ci separano dal
voto del 4 dicembre. Una chiamata alle urne rivolta a indecisi e
astensionisti: per evitare il peggio «Basta un Si». Un invito al quale è
sembrata volersi associare anche Bankitalia, con il suo Rapporto sulla
stabilità finanziaria a rischio «con un aumento della volatilità attesa
sulle azioni italiane nella prima settimana di dicembre».
Meglio
lasciarli stare i sondaggi, meglio non fidarsi di queste fanfare che
chiamano il popolo a raccolta per fare argine ai populisti cattivi che,
se vincesse il No, prenderebbero il potere e il governo gettando il
paese nel caos, e la politica nelle mani di «quelli attaccati alla
poltrona».
Chi ha seguito il presidente del consiglio nei comizi
elettorali e lo ha visto sui palcoscenici dei teatri con il microfono in
mano facendo il verso ai politici che vogliono conservare il posto e lo
stipendio, imitandone la voce e la postura, dovrebbe finalmente
convincersi che il populista al governo già ce lo abbiamo, applaudito
come unico leader da Berlusconi.
Convocata a Palazzo Chigi, ieri
la stampa ha potuto ascoltare dal segretario-presidente che tutto
dipende da questi ultimi giorni di battaglia. Renzi mostra di non
credere ai sondaggi e si dichiara convinto che andranno a votare in
molti, che i giochi sono tutti aperti. Quanto alle conseguenze di una
sconfitta, la risposta del leader diventa vaga, di stampo
democristianissimo: «Verificheremo la situazione politica».
Mille
giorni a palazzo Chigi e 100 milioni di voucher (dato di settembre)
rendono ottimista il presidente del consiglio sulla direzione del
mercato del lavoro.
Le progressive diminuzioni di contratti a tempo indeterminato gli fanno dire che c’è stata la svolta sull’occupazione.
E
saranno i numeri sull’attesa di vita che diminuisce al sud a dargli la
certezza che si è invertita la tendenza all’impoverimento di milioni di
famiglie italiane.
Alla fine, tra tante fanfare, ce n’è una che
sembra, invece, più attendibile, perché ben piantata nella cabina di
regia di Francoforte. È la conferma, che arriva da Mario Draghi, del
quantitative easing, la rete a sostegno anche del nostro debito, con
l’annuncio della decisione di prolungare l’acquisto di titoli, 80
miliardi al mese, fino al marzo 2017.
In teoria tutto il tempo per
ammortizzare l’esito dell’auspicabile bocciatura della riforma, per
scrivere una legge elettorale e finalmente dirigerci verso le elezioni.