venerdì 18 novembre 2016

Repubblica 18.11.16
L’effetto Trump sbarca in Francia
“Un duello Sarkozy Le Pen per l’Eliseo rallegrerebbe l’inquilino della Casa Bianca
Si delinea una destra conservatrice”
di Bernardo Valli

L’HARAKIRI o seppuku, il taglio del ventre dove risiede l’anima, è il suicidio rituale con il quale si vuole espiare una colpa o sfuggire al disonore, praticato in particolare dai samurai. Ma non soltanto. Cerimonia estrema ormai in disuso, o molto rara, in Giappone, sembra diventata di moda nelle nostre democrazie. L’espressione “di moda” può sembrare un po’ frivola per un rito che non lo è affatto nella versione originaria. Essa si addice invece alla versione occidentale che non implica spargimento di sangue e tanto meno la morte fisica. In gioco è la morte politica. Assomiglia a un harakiri o seppuku soft quello che compiono gli esponenti dei partiti che condannano l’élite, la casta, l’establishment di cui sono o sono stati la massima espressione.
UCCIDONO la loro politica, quella che hanno praticato, animato, rappresentato. Uccidono se stessi. A farsi l’harakiri versione occidentale sono loro. Si sono dimezzati come il visconte, metà buono metà cattivo, del romanzo di Italo Calvino. La metà che giudicano cattiva di se stessi la ripudiano, perché impopolare. È come se nel passato al governo ci fossero stati i loro fantasmi, nel frattempo evaporati. Nel migliore dei casi si infliggono un’inconscia o meglio un’ipocrita autoflagellazione tesa a colpire i sentimenti del popolo in collera contro chi governa o ha governato, e soddisfatto di sentirne i mea culpa.
Il linguaggio stile Trump, con variabile violenza, più o meno assordante, fa breccia da tempo, prima ancora che Trump comparisse sulla ribalta politica. È una droga con effetti devastanti nella democrazia che perde via via pezzi di rispettabilità, come un malato i riflessi. Dei discorsi politici si ascolta soltanto la parte che si vuole ascoltare. E i responsabili politici si adeguano.
Ho sotto gli occhi la campagna per le primarie della destra destinate a scegliere, in Francia, il candidato alle elezioni presidenziali del maggio prossimo. Nicolas Sarkozy, impegnato nel tentativo di recuperare la presidenza della Repubblica perduta quattro anni fa, condanna nei comizi l’élite responsabile della crisi che investe la società. Non risparmia nessuno. Attacca «i feudi politici, professionali, giornalistici ». I quali, sia pure addizionati, non esprimono secondo lui la volontà popolare. Di cui si sente il rappresentante. Questi propositi fanno di Sarkozy un samurai incruento che pratica un harakiri affondando una spada virtuale nel ventre del fantasma di se stesso. Tanti leader politici, di varia nazionalità, recitano lo stesso copione. Lui è un ex capo dello Stato, un ex ministro di numerosi governi, un ex sindaco, un fondatore e capo di partito. Nessuno più di lui fa parte dell’élite che copre di improperi. Sarkozy saprà domenica, dopo il primo turno delle primarie di centro destra, se sarà ammesso al ballottaggio della domenica successiva, 27 novembre, quando sarà designato il candidato della destra repubblicana alle presidenziali di maggio. Si parla spesso a vanvera di populismo. Si abusa della parola. Due sono i punti fermi per definirne l’edizione odierna: 1)pretendere di detenere il monopolio della volontà popolare contro tutte le altre espressioni politiche, ritenute disoneste e incapaci; 2) rivolgersi al popolo come se fosse qualcosa di omogeneo, senza diversità, così com’era considerato prima del contratto sociale, da cui è nato lo spirito della democrazia. Nicolas Sarkozy riempie i due requisiti. È quasi esemplare.
Per ritornare nel Palazzo dell’Eliseo deve conquistare i voti del Front National di Marine Le Pen, alla quale i pronostici garantiscono un posto al ballottaggio di maggio, quando sarà eletto il successore del socialista François Hollande. Il candidato della destra repubblicana dovrà con tutta probabilità affrontare la candidata di estrema destra. Sarkozy si prepara alla sfida ma il designato ad affrontare Marine Le Pen potrebbe essere un altro. Gli contende il posto Alain Juppé. Il quale tiene un altro discorso. È l’esponente di una destra non inquinata dal populismo. Lui non si fa l’harakiri. Se Sarkozy cerca di recuperare i voti del Front National adottando un linguaggio simile a quello di Marine Le Pen, a volte superandolo nel populismo, Juppé non trascura gli elettori del centro, e penso non disdegni quelli di sinistra che rischiano di essere orfani (la sinistra essendo fuori gioco), e che lo preferiscono a Sarkozy.
La stagione elettorale francese consente di misurare l’impatto in Europa della vittoria di Donald Trump. La politologia si è mobilitata per scoprire le tracce del virus politico che ha colpito gli Stati Uniti. Dopo l’allarme dei primi giorni, sollecitato dalle dichiarazioni entusiaste di Marine Le Pen, un’ampia indagine d’opinione ha rivelato che il numero dei francesi ansiosi di sconfiggere il sistema, cioè la casta, l’élite, l’establishment, non è aumentato dopo il successo del miliardario americano. Il Front National conserverebbe poco meno di un terzo dell’elettorato (29%), vale a dire meno della destra repubblicana (34-35%) con Alain Juppé candidato. La sinistra riformista è fuori gioco (12-14%) in tutti i casi, che François Hollande decida di ricandidarsi, o che al suo posto ci sia il primo ministro Manuel Valls. Le due destre, quella repubblicana e quella estrema dominano la scena elettorale e il confronto finale avverrà tra i loro campioni.
Ma prima del voto di maggio, ci sono le primarie (aperte) di sinistra e di destra. Quest’ultime possono essere decisive. Domenica prossima quelle di destra dovrebbero lasciare in gara per il posto di candidato alla presidenza Alain Juppé e Nicolas Sarkozy. Insidiati dall’ex primo ministro François Fillon alle loro spalle con i voti virtuali. Il prevalere di Sarkozy, con il suo discorso nettamente populista, rivelerebbe che l’impatto della vittoria di Donald Trump non è poi stato tanto insignificante in Francia. Un duello finale Sarkozy-Le Pen rallegrerebbe il nuovo inquilino della Casa Bianca. Ma Alain Juppé supera per ora (36 a 29) il rivale. Resta tuttavia una grande incertezza, sia per la scarsa affidabilità delle indagini d’opinione, sia per l’ancora incompleto numero dei candidati. Trump o non Trump, anche in Francia, e forse in Europa, si delinea una destra conservatrice che tende a rafforzare la pubblica autorità e il ruolo nazionale. Questi sono gli altri aspetti del populismo del nostro tempo.