Repubblica 18.11.16
De Luca Le tante vittime e le intemerate del ras di Salerno
Insulti e attacchi il Pol Pot campano oltre ogni limite
di Alessandra Longo
ROMA.
Ci sarà un motivo se lo chiamano «Pol Pot». Uno che non perdona, uno
che decide tutto da solo, uno che, da sindaco, si identificava con la
città amministrata come fosse roba sua («Io sono Salerno, l’urna con le
mie ceneri la voglio a Piazza della Libertà! »), uno che, da presidente
della Regione, continua ancora ad insultare: gli avversari «sfessati e
sfrantummati», ieri la compagna di partito Rosy Bindi, anche i cittadini
comuni quando se lo meritano, quando cioè sono, a suo insindacabile
giudizio, «cafoni, somari, animali». Vincenzo De Luca è sempre stato
così, fuori dalle righe, sopra le righe, fiero della sua arroganza e del
suo vocabolario. Crozza lo ha reso popolare, il che non significa
gradito, oltre i confini del suo Impero. Il rapporto con Renzi (un’altra
delle caratteristiche del Nostro, già dalemiano, fassiniano,
bersaniano, è trovarsi sempre sul carro del vincitore, ndr) lo fa
sentire adesso meno caratterista e pecora nera e più «organico». Lui,
figlio di un salumiere e di una casalinga, nato nel lontano 1949,
sponsor della rottamazione, del decisionismo, del linguaggio ruvido. Un
linguaggio che viene da lontano, dai tempi della militanza in Alleanza
Contadina, prima ancora della scalata dentro il Pci. Un suo amico di
allora lo racconta durante una protesta a difesa degli allevatori:
«Bloccammo le cisterne che portavano il latte e mentre decidevamo il da
farsi Vincenzo arrivò, aprì i rubinetti e gettò tutto il latte a terra
urlando: «Il popolo ha già deciso». Populista, padre padrone. Dalla
poltrona di governatore, che fu dell’odiato Bassolino, amico dei «cafoni
arricchiti del partito», controlla il “feudo” di Salerno. Il figlio
Roberto è assessore al Bilancio e allo Sviluppo del Comune. E le
cronache locali hanno raccontato di recente che il nuovo sindaco non si
azzarda a varcare, quasi fosse timorato di violare un territorio sacro,
la lussuosa stanza di rappresentanza in uso al predecessore. È pur vero
che la cosa è stata debolmente smentita ma sta di fatto che «Pol Pot»
tiene tutti in riga (o con me o contro di me) e ogni settimana dilaga,
con stile sovietico, dall’emittente televisiva Lira Tv. Lunghi
monologhi, senza contraddittorio. È dallo schermo che partono quasi
sempre gli strali contro i nemici . I grillini: un’ossessione. A
cominciare da «Giggino Di Maio, Luigiredditozero prima», e poi Dibba,
Fico... De Luca li liquida con disprezzo: «Degli sfaccendati, tre mezze
pippe». Su Virginia Raggi memorabile il sibilo nella riunione del Pd di
luglio: «Quando la vedo al balcone del Campidoglio, bambolina
imbambolata, mi fa tenerezza». Più offende, più si sente potente:
«Grillo, ohé, ma chi ti credi di essere? Com’è possibile che in un paese
serio ci sia uno che sta col panzone al sole alle ville al mare... e
poi parla, critica... Ohé, ma che stiamo a teatro?».
Il teatro, in
realtà, lo fa lui ed è un maestro. Così come sa far politica senza
fermarsi davanti al primo avviso di garanzia («Ne ho ricevuti talmente
tanti che non ne tengo più il conto»). Ha anticipato la stagione dei
sindaci sceriffi («A Salerno gli zingari li prendiamo a calci e il cielo
stellato ce lo godiamo noi»); ha messo assieme, pur di vincere alle
ultime Regionali, un’armata di sostenitori, alcuni dei quali definiti da
lui stesso «impresentabili» tanto da lanciare un appello a «non
votarli»; ha vinto, è stato sospeso in base alla Severino, ha incassato
un’assoluzione, si è reinsediato. Deve aver dedotto, fortificato dalle
citazioni televisive, che per lui non ci sono limiti. Ieri, con le
parole sulla Bindi, ne ha valicato uno, quello della decenza. E non ha
fatto ridere.