Repubblica 18.11.16
David Grossman racconta perché scrive tanti libri per bambini. Compreso l’ultimo, “Mia, tua, nostra”
“Crescere oggi è dura servono più favole”
intervista di Susanna Nirenstein
Parlare
con David Grossman è come ascoltare un concerto di parole, poesia.
Impossibile riprodurle. Se poi l’argomento sono i bambini la musica si
fa cantante, delicata. E siccome gli telefoniamo proprio in occasione di
una nuova fiaba
per piccolissimi dai 3 ai 5 anni,
Mia, tua,
nostra, mentre è a Londra a promuovere il suo ultimo romanzo Applausi a
scena vuota (e anche a pensare al suo prossimo libro), ecco che la voce
si modula in un’armonia. Il contenuto del breve racconto è il primo
incontro con l’ingiustizia per una bimba, Lilli (un nome che assomiglia a
quello di sua figlia Lilah): all’asilo una compagna le sottrae di
nascosto la bambola e la maestra non capisce a chi appartenga davvero.
Smarrimento, urla, strepiti, pura disperazione (ben illustrati da Giulia
Orecchia), ma man mano Lilli capisce che l’amica ha dimenticato il
“suo” giocattolo a casa, e, in stile decisamente grossmaniano, le due
arrivano alla comprensione e alla condivisione.
Ma come mai un
autore così alto, che in Caduto fuori dal tempo ha varcato l’Ade e ha
incontrato il dolore per la morte del figlio Uri, in Che tu sia per me
il coltello si è infilato fino alle ossa dentro i tormenti dell’amore, e
fin dai primi romanzi, da ebreo israeliano, ha elaborato l’orrore della
Shoah a cui il nonno era scampato, come mai ha prodotto tanti racconti
per bambini?
«Dopo ogni romanzo scrivo qualcos’altro, commedie,
poesie, testi per un’opera, saggi, ma soprattutto fiabe. È un canale
aperto con me stesso soprattutto da quando sono nonno di due nipotine, e
ho il privilegio di assistere alla creazione di un essere umano,
seguire il modo in cui impara a camminare, giocare, vivere nel kibbutz,
dire io e dire tu, trovarsi in piccoli incidenti. Ogni esperienza per
loro è assoluta e anche se non posso dire di saper entrare nella loro
mente, accade che ogni cosa per me sia trasparente. L’incontro della
bambina con l’ingiustizia è avvenuto davvero a mia figlia, e ricordo il
modo in cui non sapeva esprimere la tristezza. E l’ho sperimentato io
stesso, provando un enorme sollievo al momento della risoluzione del
problema».
Molti dei suoi romanzi hanno per protagonisti bambini e
ragazzi. Cosa rappresentano per lei la sua infanzia e la sua
adolescenza?
«Sono state fondamentali. E tuttora sono felice
quando incontro qualcuno e colgo il bambino attivo che è in lui, la sua
parte più fresca e limpida. Ed è importante anche il bambino che è in
me. In tanti miei romanzi è con i ragazzi che vivo l’esperienza. In Vedi
alla voce amore è Momik a elaborare la Shoah attraversata dal nonno,
perché il bambino non si protegge e fa domande che nessuno porrebbe:
Momik affronta la definizione “bestia nazista” usata dagli adulti come
un dato di fatto, e invece la scava, la ricostruisce. Nella Grammatica
interiore, Aharon attraversava il difficile passaggio dall’infanzia
all’adolescenza curandosi in un ospedale immaginario. Ma più cresco e
più capisco che la vita è breve, e diventa necessario immergermi anche
in altre situazioni che non afferro altrimenti, come in A un cerbiatto
somiglia il mio amore e in Caduto fuori dal tempo, devo confrontarmi con
la morte».
Cosa significa una fiaba per
un bambino?
«Il
potere di una storia. Ricordo la forza magnetica per me di una favola,
il registro della voce che cambia in chi legge, e rammento come sentir
raccontare anche di un cane mi portasse a un altro livello, non
realistico, ma nemmeno confuso, sconnesso. Perché ai bambini piace
attivare l’organo metafisico dell’immaginazione e superare ogni
frontiera mentre il padre o la madre li portano con la parola da qualche
altra parte: insieme si prende a volare, ma al tempo stesso si è
protetti. Ed è importante perché la loro mente è ancora caotica, non sa
bene la differenza tra sogno e realtà: con la fiaba si entra nei loro
sogni e li si accompagna, allargando l’esperienza della vita. E poi una
storia quasi sempre legittima uno humour che non sempre è usato dagli
adulti, un’altra dimensione in cui entrare e sorridere».
È più difficile oggi crescere?
«Sì,
è più duro. Quando ero bambino e giovane genitore, i limiti erano più
chiari. C’era una gerarchia, con i genitori, gli insegnanti, e più tardi
l’esercito. Un centro del mondo chiaro. Forse era un’illusione ma dava
stabilità. Ora tutto è saltato. E i bambini avvertono la fragilità degli
stessi genitori, che sono bambini anche loro. Mi chiedo come si
comporteranno quando avranno trent’anni. Il mondo è così crudele, e
tutta questa ferocia arriva sulla tv e sul computer. Difficile
proteggere l’innocenza dei figli così esposti alla violenza».
I
bambini però oggi sono più rispettati di un tempo, solo che in questo
rapporto quasi alla pari è arduo aiutarli a distinguere il giusto dallo
sbagliato.
«Sì, l’intuizione di trattarli come persone è stata
salutare, ma porre delle frontiere è importante, e il genitore credo
debba usare tutta la sua intuizione e capire i limiti che gli stessi
bambini chiedono di mettere. Deve essere un gioco delicato, in cui non
basta dire di essere un modello morale, ma comportarsi davvero in modo
etico. Solo così ti seguiranno, impareranno ad essere delle persone
perbene, così come imparano a mettersi le scarpe».
Ma con i modelli violenti o pornografici che arrivano su Internet, come la mettiamo?
«Devi
combattere. Internet è uno strumento meraviglioso. Ma quando il bambino
vi approda e come se entrasse nella giungla. È un dovere genitoriale
proteggerlo, accompagnarlo».
È diverso educare un bambino in Israele?
«Un
bambino è un bambino dovunque. Solo più tardi arriva l’ansia per il
terrorismo, e si deve insegnargli a evitare i posti pericolosi,
sostenerlo quando saprà che un giovane è stato ucciso in guerra.
Mostrare la realtà a degli occhi innocenti è pazzesco».
Tutti i grandi autori israeliani scrivono per i bambini. Come mai?
«La
nostra tradizione è legata alla narrazione. Padri, madri, nonni
raccontano. Ha mai riflettuto sul fatto che l’umanità è l’unica specie
in cui i nonni mantengono un rapporto con i nipoti? Questo è un valore
universale».
IL LIBRO Mia, tua, nostra di David Grossman con illustrazioni di Giulia Orecchia (Mondadori, pagg. 48, euro 13)