La Stampa 18.11.16
Zadie Smith: la vittoria di Trump?L’ultimo sussulto del maschilismo
La scrittrice britannica a New York: “Molti adesso si aspettano un’ondata di populismo vincente che coinvolgerà tutta l’Europa”
intervista di Paolo Mastrolilli
In
teoria, Zadie Smith è venuta al St. Jospeh’s College di Brooklyn per
presentare il suo nuovo romanzo, che si intitola Swing Time e racconta
la storia di due giovani ragazze di famiglie multirazziali innamorate
della danza. Siccome però la storia si avvita intorno ai temi della fama
e della razza, basta un attimo per scartare dal percorso tracciato: «In
America - dice Zadie - abbiamo appena eletto presidente il candidato
che aveva come unica qualifica quella di essere il più famoso». Dove
naturalmente per fama si intende quella che deriva dal sistema
adulatorio delle celebrità a cui appartiene Donald Trump, non quella
costruita da Hillary Clinton in politica, nel bene o nel male. Allora,
appena Ashley Ford termina le sue domande e passa la parola al pubblico,
diventa inevitabile andare dove Zadie si è avventurata per prima.
Come
è possibile - le chiedo - che gli Stati Uniti abbiano eletto Presidente
una persona che aveva come unica qualifica quella di essere famosa, nel
senso peggiore del termine?
«Lasciatemi cominciare dicendo che
condivido la vostra disperazione, però la Gran Bretagna e gli Usa sono
democrazie mature, dove esistono sistemi di protezione. Spero che questo
non sia solo un “wishful thinking” modello anno 1933, una speranza non
radicata nella realtà. Però è il mio primo istinto, e in parte ha già
dimostrato di essere vero. Infatti in Gran Bretagna il Parlamento ha
appena messo un freno al processo della Brexit».
Quindi lei mette l’elezione di Trump nel contesto di una tendenza più ampia?
«Nell’ambiente
universitario dove lavoro ci sono molte persone con una visione storica
di lungo termine, secondo cui quello che è successo in Gran Bretagna
con la Brexit, e ora nelle presidenziali americane, si ripeterà in
Austria, Francia e altri paesi. Si tratta di un’ondata globale di
populismo, a cui non era possibile resistere. Non sono sicura che le
cose stiano così, però è una considerazione interessante».
Anche se fosse vero, resta da capire perché gli elettori hanno scelto come messaggero di questo scontento proprio Trump.
«Si
tratta di un fenomeno complesso, che comprende vari aspetti. Sul piano
dell’uso della fama e della comunicazione, però, mi ricorda molto
Berlusconi. So esattamente perché Berlusconi è diventato primo ministro
in Italia, certamente aiutato dal fatto di possedere televisioni,
giornali, e mezzi di comunicazione vari. La differenza fondamentale con
quanto è avvenuto qui negli Stati Uniti è che Trump non è proprietario
di questi strumenti. Non possiede le tv o i quotidiani. Siamo noi che lo
abbiamo fatto per lui; noi gli abbiamo dato il potere di controllare i
mezzi di comunicazione, prestando attenzione continua a quello che
diceva, e amplificando il suo messaggio. Questo è stato molto inusuale.
Berlusconi aveva i mezzi, mentre a Trump li abbiamo offerti noi. In
altre parole, abbiamo partecipato alla sua vittoria».
Quanto hanno pesato l’elemento razziale e di genere sul risultato, anche considerando che l’avversaria di Donald era una donna?
«Un
fattore che credo abbia pesato molto è quello della pillola
anticoncezionale. Capisco che possa sembrare folle, ma seguitemi un
momento. Diversi storici in Gran Bretagna sostengono che la pillola ha
rappresentato la svolta più significativa e fondamentale della storia
umana, perché ha cambiato radicalmente le relazioni tra uomini e donne
consolidate nel corso dei millenni. Le conseguenze della capacità delle
donne di controllare la fertilità sono una marea, continuano ancora
oggi, e forse questo è stato l’ultimo colpo della reazione. Tra i
sostenitori di Trump, infatti, il desiderio predominante è quello di
viaggiare nel tempo, tornare al passato, ad un periodo precedente della
storia. Questo desiderio ha in sé elementi legati alla razza, ma anche
di più al genere, perché il ruolo delle donne nella loro visione è
quello di sposarsi e avere figli. Punto. È una parte centrale
nell’ideologia di chi ha spinto Trump alla vittoria. Può sembra folle,
ma non è anti storico. Forse abbiamo testimoniato l’ultima reazione alle
conseguenze del cambiamento epocale provocato dall’emancipazione delle
donne».
L’arte ci salverà, in questi tempi così incerti?
«Da
diversi anni l’arte sta crescendo. Negli Anni Novanta, quando c’erano
ricchezza e ottimismo, producevamo “Quattro matrimoni e un funerale”.
Oggi vedo più partecipazione ed eccitazione. Mi ricorda un po’ E.M.
Forster, un autore molto riservato che durante la Seconda guerra
mondiale sentì la necessità di esporsi. I tempi cambiano gli artisti:
prevedo un’era di interventismo culturale».