Repubblica 18.11.16
Lo strappo di Pisapia “Con il No paese instabile”
L’ex sindaco di Milano: “Oltre le urne il vero obiettivo è non aprire la via a destre e populisti”
"Chi crede nello stesso sistema di valori non si deve dividere, la lezione Usa deve insegnare qualcosa"
intervista di Giovanna Casadio
Roma.
«Dopo il 4 c’è il 5. E io non credo che, in caso di vittoria del No al
referendum, avremmo un anno di tregua nel quale sarà possibile lavorare
per riorganizzare il paese, vedo invece un Parlamento ancora più diviso,
paralizzato e un periodo di instabilità politica che non farebbe bene
al paese, alla sua credibilità a livello internazionale e che avrebbe
riflessi negativi anche a livello economico e sociale». Giuliano
Pisapia, leader della Sinistra, ex sindaco di Milano prende a prestito
il titolo di un dibattito a cui la Spi-Cgil l’ha invitato: parlare di
cosa accadrà dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre. Perché è
il “dopo” la posta in gioco. E apprezza il leader della sinistra dem,
Gianni Cuperlo che è riuscito a ottenere da Renzi le modifiche
all’Italicum e perciò voterà Sì al referendum.
Pisapia, oggi la lacerazione, domani ci sarà l’apocalisse, la destabilizzazione se vince il No?
«Nessuna
apocalisse sia che vinca il No, sia che vinca il Sì. E mi sembra che
siano ormai ben pochi quelli che paventano tale rischio. Io però non
credo che, in caso di vittoria del No, avremmo un anno di tregua nel
quale sarà possibile lavorare per riorganizzare il paese; vedo invece un
Parlamento ancora più diviso, paralizzato e un periodo di instabilità
politica che non farebbe bene al paese».
Lei ha già detto che il No non la convince, ma non prende posizione con chiarezza?
«Non
ho mai avuto paura a prendere posizioni anche scomode. Ma devo
ribadire: mi rifiuto di scendere in guerra con i miei compagni di
strada. Io credo in una sinistra larga, aperta, ragionevole e
responsabile e non voglio accettare che il referendum e la lunga
campagna elettorale diventi il “casus belli” per una frattura senza
ritorno. Nella mia idea di sinistra non c’è chi ha esultato per la
vittoria di Trump, chi vuole costruire i muri in Europa, chi vuole
lasciar naufragare i barconi dei disperati. Ma c’è chi vota Sì come chi
vota No. Credo che dovremmo cercare di farci per strada il minor male
possibile. E avendo un unico obiettivo: non regalare il Paese alle
destre e ai populisti».
Fa paura l’onda lunga di Trump?
«Mi
fa paura che non si impari niente dalla lezione americana, che è il
trionfo di un messaggio reazionario e la vittoria della politica della
rabbia. Dopo Brexit, dopo Trump, bisogna fare uno sforzo immenso perché
chi crede nello stesso sistema di valori non si divida. Bisogna trovare
la formula per costruire ponti. Mentre dappertutto – anche a casa
nostra, anche all’interno della sinistra e del centrosinistra – si sono
alzati i muri. Il mio è un appello quasi disperato: le forze della
sinistra devono sentire il peso di una responsabilità storica come forse
mai nei tempi recenti».
Lo tsunami populista potrebbe abbattersi anche sull’Italia?
«Bisogna
fare chiarezza su cosa intendiamo per populismo. Nel nome del populismo
in Russia, tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo c’è stato un
movimento culturale e politico che si proponeva un miglioramento delle
condizioni di vita delle classi più povere. Oggi molti danno a questo
termine un significato negativo e dispregiativo, teso a fare far credere
come possibili e realizzabili proposte che non si è in grado di
realizzare. Se, per populista si intende chi fa mera demagogia pur di
cercare facili consensi, allora non c’era bisogno di attendere l’esito
delle elezioni americane per dire che il populismo era, purtroppo, già
presente».
E ci sarà una ricaduta sul referendum costituzionale, secondo lei?
«Difficilmente
chi è convinto di votare Sì o di votare No cambierà idea guardando
all’America, soprattutto se il Sì o il No sono determinati non dalla
legge costituzionale ma dalla volontà di far cadere il governo. Però gli
indecisi sono ancora tanti e sono convinto che la maggior parte
deciderà sulla base della conoscenza del contenuto della riforma
costituzionale. E poi ci sarà anche chi sceglierà tenendo conto dei
passi avanti, in parte già fatti, sulla legge elettorale, impegnandosi
seriamente a eliminare, quel “combinato disposto” che, seppur
indirettamente, incide anche su alcuni temi della riforma. Anche per
questo ho molto apprezzato la posizione di Cuperlo e di chi non si
arrende alla dittatura del 4 dicembre. Dopo c’è il 5, ed è al dopo che
bisogna guardare».
Quindi lei si considera un eretico rispetto al suo schieramento di sinistra?
«Cosa
significa essere eretico? Vincere una campagna elettorale come quella
del 2011 a Milano che ha mandato a casa la destra che governava da 18
anni? Su questa riforma costituzionale è importante che siano i
cittadini a valutare se sono maggiori le luci o le ombre. Siano loro a
decidere se, tenendo conto della situazione reale e non delle speranze o
dei sogni, si preferisce lo status quo, se si poteva fare di più o se
c’era il rischio di fare peggio. Se il cambiamento proposto è
un’opportunità o anche solo un limitato, ma positivo passo avanti».
I sondaggi danno il No in vantaggio, se così fosse Renzi deve andare a casa?
«Dal
punto di vista costituzionale non ne vedo la ragione, sarà il capo
dello Stato a decidere. Però Renzi si dimostrò coerente nel 2012, dopo
avere perso le primarie, disse che non si sarebbe candidato in
Parlamento e così fu».