Repubblica 18.11.16
Il sondaggio.
L’avanzata del No è in testa di sette punti ancora indeciso un italiano su quattro
In
un mese i contrari alla riforma aumentano del 3%. Per gli elettori la
consultazione sarà soprattutto un referendum pro o contro Renzi
di Ilvo Diamanti
È come se in attesa delle urne il Paese fosse sospeso. Ma pochi si informano sul merito
L’alta
percentuale di incerti potrebbe influenzare profondamente il risultato
Il fronte del Sì appare più esteso al Nord, ma si restringe al
Centro-Sud
ADUE SETTIMANE dal referendum costituzionale
gli orientamenti di voto sembrano definiti. Infatti, nell’ultimo
periodo, il No ha allargato il proprio vantaggio. Secondo il sondaggio
condotto nei giorni scorsi da Demos per Repubblica, ha raggiunto il 41%,
mentre il Sì è sceso al 34%. La distanza è, dunque, di 7 punti, mentre
il mese scorso era di 4. E in settembre di 8, ma a favore del Sì. In due
soli mesi, dunque, le posizioni si sono decisamente invertite. E il No
ha recuperato ben 15 punti. Ovviamente, occorre usare prudenza prima di
considerare conclusa la partita. Meglio tener conto della “lezione
americana”, impartita in occasione delle elezioni presidenziali.
D’altronde, gli elettori incerti e reticenti, in questa occasione, sono
ancora il 25%. Uno su quattro. La decisione ritardata (o non dichiarata)
e l’in-decisione potrebbero determinare variazioni profonde, nell’esito
del voto. Fino a rovesciare le previsioni. Com’è avvenuto proprio la
settimana scorsa negli Usa. Dove il successo di Trump è apparso
imprevisto. Anche se non era del tutto imprevedibile, visto che le
distanze emerse dei sondaggi non erano così lontane dal margine di
errore statistico. Nel caso del referendum, si aggiunge la complessità
del quesito, che quasi il 45% degli italiani (intervistati) ammette di
conoscere «poco o per niente». La geografia degli orientamenti, anche
per questo, appare composita. Il “fronte del Sì”, in particolare, è più
esteso nel Nord, ma si restringe nelle regioni del Centro e del Sud.
Mentre il No prevale fra i più giovani e nelle componenti sociali più
istruite. Tuttavia, sul voto referendario, più delle motivazioni sociali
ed economiche, pesano quelle politiche. Solo fra gli elettori del Pd,
infatti, il Sì risulta (nettamente) maggioritario (75%). Mentre negli
altri partiti (con la parziale eccezione dell’Ncd) prevale la posizione
opposta. In modo più o meno largo. Nella Lega e nel M5S, in particolare,
il No è espresso dai 3 quarti degli elettori. Tra i Fratelli d’Italia:
dal 60% - circa. I dati dell’Atlante Politico di Demos, però, evocano,
soprattutto, l’idea di un voto marcatamente personalizzato. Da - e
intorno a - Renzi. In modo coerente e conseguente alle scelte originarie
del Premier. Il quale, attraverso il referendum, vorrebbe ottenere la
legittimazione elettorale che ancora non ha avuto. D’altronde, oltre il
60% del campione nazionale (intervistato da Demos) considera il prossimo
voto proprio così. Un referendum “a favore o contro Renzi e il suo
governo”, che sta assumendo un orientamento decisamente negativo. Anche
perché il giudizio popolare, al proposito, si sta deteriorando in modo
rapido e profondo. Oggi, infatti, il 40% degli elettori attribuisce un
voto positivo al governo. Dunque, 4 punti in meno rispetto al mese
scorso e 6 rispetto a un anno fa. Questo giudizio, però, può essere
letto anche in modo inverso e speculare. Che 6 persone su 10, dunque la
larga maggioranza, valuta il governo negativamente. Peraltro, la stessa
tendenza si osserva in rapporto alla figura e alla leadership di Renzi.
Stimata positivamente nella stessa misura del governo: 41%. E in calo,
anche in questo caso, di 4 punti nell’ultimo mese. Ma di 7 nell’ultimo
anno. È una conferma del legame stretto fra il governo e il premier,
nella percezione dei cittadini. Che si riflette sulle intenzioni di voto
al referendum. Per questo una vittoria del No implicherebbe le
dimissioni da Capo (del governo), secondo la maggioranza degli elettori:
il 56%. In crescita di 3 punti nell’ultimo mese. Ma sancirebbe anche la
fine della sua leadership nel Pd, secondo il 51% degli intervistati.
Anche per questo il Pd, nelle stime elettorali, non cresce. Perché è,
ormai, un partito personale. Il PdR. E ruota intorno alle sorti del
Capo. Così, staziona intorno al 30%. Affiancato dall’unico soggetto di
opposizione, oggi, plausibile. Il M5S. Che “rischierebbe” di vincere, in
caso di ballottaggio. Mentre la Lega e Forza Italia sembrano riprendere
quota. Ma volano basso. Intorno al 13%. A lunga distanza dai due
rivali: Renzi e Grillo. PdR e M5S.
È come se la politica in Italia
fosse sospesa. In attesa del referendum. Da cui dipenderà non solo la
sorte di Renzi e del suo governo, ma anche degli altri principali
partiti. Degli altri leader. Così, purtroppo, in pochi discutono della
materia del referendum. Salvo i costituzionalisti e alcuni esperti.
Oltre ai leader e ai militanti (schierati a prescindere). La posta in
palio è un’altra. Il destino politico di Renzi. Il futuro – prossimo
della politica, in Italia. E non ci sono parole per dire quel che sarà e
saremo. Fra poco più di due settimane. Dopo il 4 dicembre. Ci mancano
le parole perché non sappiamo. Quel che sarà e saremo.