Repubblica 16.11.16
L’ossessione del 4 dicembre
di Claudio Tito
MATTEO
Renzi ha costruito la sua vita politica sulla sfida. Di fronte ad una
difficoltà, rilancia. Alza la posta. Anche a costo di tracimare
nell’azzardo. Questa volta il problema è il referendum.
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OGNI
volta che parla d’Europa, in realtà fa riferimento al quattro dicembre.
Anche dietro l’ultimo attacco a Bruxelles, c’è quell’appuntamento
elettorale. Il nucleo strategico di Palazzo Chigi è ormai concentrato su
un’unica data.
Il veto sul bilancio comunitario ne è un tassello.
Non si tratta di una calcolata critica ai metodi dell’Ue o ai criteri
utilizzati dalla tecnostruttura europea. Prende corpo semmai il
tentativo di intercettare una parte di quel malumore che investe quasi
tutto il mondo occidentale. Quello che il capo dello Stato emerito
Giorgio Napolitano in una recente intervista a Repubblica ha definito
«qualcosa di più di un vento euroscettico, un’ondata di “politica della
rabbia” ». Il presidente del Consiglio vuole quindi provare a esporre le
vele verso quel vento e spingere il suo vascello in direzione di una
riscossa referendaria. Non a caso, negli ultimi giorni, ha rimproverato
quei ministri che gli suggerivano di abbassare i toni della campagna
elettorale, ad allontanarsi dalla personalizzazione della competizione:
«Non mi pare — è stato il suo ragionamento — che il gradimento in quel
modo sia risalito ».
È evidente che la lezione americana di Trump
stia sortendo un primo effetto in Italia. Il soffio populista scompiglia
anche chi si dichiara contrario a quella deriva. Del resto, basta
leggere i sondaggi — oltre che farsi atterrire dal nuovo presidente Usa —
per capire che alcune delle parole d’ordine più comprensibili dagli
elettori costituiscono il cuore del vocabolario anti-europeista. La
crisi economica più lunga della storia moderna fa sentire i suoi morsi
più profondi in prossimità delle urne. Puntare l’indice contro chi viene
considerato responsabile è il modo più semplice per provare a
rimettersi in connessione con il corpo più numero dell’opinione
pubblica. È come prendere un tram che trasporta il passeggero da una
fermata all’altra. Il governo italiano infatti non ha posto un veto
formale al bilancio europeo ma una “riserva”. Che dovrà essere valutata
dal Parlamento di Strasburgo e poi dal Consiglio Affari Generali di
Bruxelles. Che si riunirà a metà dicembre, quando il referendum si sarà
già svolto e non ci sarà più bisogno di arrivare a porre davvero il
veto.
Ma come tutti gli azzardi pure questo comporta dei rischi.
La sfida di Renzi può forse produrre un dividendo politico in patria, ma
è potenzialmente in grado di indebolire l’Italia in Europa. La maggior
parte delle scelte compiute a Bruxelles, vengono votate attraverso
maggioranze formate dai Paesi più forti. Il nostro ha quasi sempre
figurato tra i “soci” di quelle alleanze. Stressare i rapporti con gli
alleati significa chiudersi nei confini angusti delle “minoranze”
europee. Negoziare in una posizione di debolezza e soprattutto spingere
gli “alti burocrati” degli uffici comunitario a non considerarci un
interlocutore privilegiato. Depotenziare i rappresentanti italiani nei
centri decisionali di Parlamento e Commissione.
È evidente che lo
specchio europeo si riflette in ogni campagna elettorale, non solo in
Italia. Sta già assumendo un peso nella corsa presidenziale in Francia e
nella ricandidatura di Angela Merkel in Germania. Le due nazioni sono
chiamate alle urne il prossimo anno. Anche a Parigi e Berlino il vento
populista sarà strumentalizzato per attirare voti. Ma le nostre
debolezze ci espongono in misura maggiore.
Renzi dunque si gioca
il tutto per tutto. Mettendo però sul piatto della bilancia anche il
rapporto con l’Ue, la posta complessiva si trasforma. Cresce a dismisura
come se fosse dopata. Non riguarda solo Palazzo Chigi ma anche il ruolo
italiano nella comunità europea. E in questa “scommessa” si rischia di
inciampare inutilmente. Dimenticando ad esempio che un decreto del
presidente della Repubblica (firmato nel 2000 da Carlo Azeglio Ciampi)
impone di esporre la bandiera europea accanto a quella italiana in tutti
«gli uffici dei membri del governo ».