Repubblica 15.11.16
Da Brexit a Trump l’inganno delle élite dietro alla crisi dell’Occidente
Nel nuovo libro di Federico Rampini un’analisi delle cause della crescita dei populismi
Piegate
da crisi e paura le opinioni pubbliche cercano rifugio in soluzioni
estreme Per anni si è parlato di europeismo e frontiere aperte: e si
sono chiusi gli occhi davanti ai problemi
di Federico Rampini
Il
mondo sembra impazzito. Stagnazione economica. Guerre civili e
conflitti religiosi. Terrorismo. E, insieme, la spettacolare impotenza
dell’Occidente a governare questi shock, o anche soltanto a proteggersi.
Senza una guida, abbandonate dai loro leader sempre più insignificanti e
irrilevanti, le opinioni pubbliche occidentali cercano rifugio in
soluzioni estreme.
La vittoria di Brexit nel referendum in Gran
Bretagna che ha sancito l’uscita dall’Unione europea. I messaggi
radicali di Donald Trump. Le derive autoritarie in Polonia e Ungheria.
Che si tratti di fenomeni durevoli o transitori, passeggeri o
irreversibili, tutti hanno un elemento in comune: alla paura si risponde
con la fuga indietro, verso il recupero di identità nazionali. Si cerca
di alzare il ponte levatoio. Di isolarsi da tutto il male che viene da
«là fuori».
È una reazione comprensibile. È normale cercare di
proteggersi dall’inaudita violenza di attentati terroristici di matrice
islamista sul suolo europeo: un’escalation che dopo Charlie Hebdo ha
colpito ancora Parigi nel novembre 2015, Bruxelles nel marzo 2016, Nizza
nel luglio 2016. L’America non è immune. Ed è normale cercare una via
d’uscita dalla stagnazione economica ultradecennale, che ha reso i figli
più poveri dei genitori.
Immigrazione e globalizzazione, sono i
due fenomeni sotto accusa. Il grande tradimento delle élite spinge alla
ricerca di soluzioni nuove… oppure antichissime. Quel tradimento è
reale.
Per élite intendo un ceto privilegiato che estrae risorse
dal resto della società, per il potere che esercita direttamente:
politici, tecnocrati, alti dirigenti pubblici nella sfera di governo;
capitalisti, banchieri, top manager nella sfera dell’economia. Più
coloro che hanno un potere indiretto attraverso la formazione delle
idee, la diffusione di paradigmi ideologici, l’egemonia culturale:
intellettuali, pensatori, opinionisti, giornalisti, educatori. Ci sono
dentro anch’io.
Il tradimento delle élite è avvenuto quando
abbiamo creduto al mantra della globalizzazione, abbiamo teorizzato e
propagandato i benefici delle frontiere aperte: e questi per la maggior
parte non si sono realizzati. Quando abbiamo continuato a recitare
un’astratta retorica europeista mentre per milioni di persone l’euro e
l’austerity erano sinonimi di un grande fallimento.
Il tradimento
delle élite si è consumato quando abbiamo difeso a oltranza ogni forma
di immigrazione, senza vedere l’enorme minaccia che stava maturando
dentro il mondo islamico, un’ostilità implacabile ai nostri sistemi di
valori.
Il tradimento delle élite è continuato praticando
l’autocolpevolizzazione permanente, una sorta di riflesso pavloviano
ereditato dai tempi in cui ”noi” eravamo l’ombelico del mondo: come se
ancora oggi ogni male del nostro tempo fosse riconducibile
all’Occidente, e quindi rimediabile facendo ammenda dei nostri errori.
Il
tradimento delle élite ha giustificato ogni violenza contro di noi
riconducendola ai nostri peccati ancestrali; e così ha illuso che il
mondo possa tornare ”in ordine” se soltanto l’Occidente si pente e
imbocca la retta via.
Il pensiero politically correct, dominante
fra i tecnocrati, le élite e tanta parte della sinistra di governo, ha
continuato a recitare la sua devozione a tutto ciò che è sovranazionale.
Tutto ciò che unisce al di là delle frontiere è stato considerato
positivo per definizione: trattati di libero scambio, organizzazioni
multilaterali. Si è reso omaggio sempre e ovunque alla società
multietnica, senza voler ammettere che questo termine in sé non vuol
dire niente: «società multietnica » non ci dice qual è il risultato
finale, il segno dominante, il mix di valori che regolano una società
capace di assorbire flussi d’immigrazione crescenti. Da tempo gli Stati
Uniti sono multietnici; lo è l’India; lo è il Brasile; lo è la Russia;
lo sono la Turchia e l’Iraq con le loro minoranze armene o curde. E noi,
a chi vogliamo assomigliare?
Può sembrare anacronistica l’attuale
riscoperta, da destra, di un modello russo. Ma è anche questa una
conseguenza del «tradimento delle élite ».
Alle paure di
un’opinione pubblica angosciata dalla stagnazione economica e dal
terrorismo, l’establishment globalista e ottimista ha risposto recitando
a oltranza la stessa fiaba a lieto fine: «E dopo avere abbattuto le
frontiere vissero per sempre felici e contenti ».
Se ormai ci
credono in pochi, la colpa non è di Putin. Più in generale, per molti
decenni abbiamo raccontato che in questo mondo sempre più connesso lo
Stato-nazione è superato; e quindi, implicitamente, lo stesso esercizio
della sovranità popolare che aveva fondato la democrazia su basi
nazionali viene condizionato e limitato da forze superiori. Salvo
scoprire che queste «forze superiori» non sono né oggettive né naturali;
producono risultati che avvantaggiano pochi, sempre gli stessi. Come
stupirsi, allora, se una parte di noi perde fiducia nella democrazia
stessa?
«Non hanno dimenticato nulla. E non hanno imparato nulla».
Si dice che Charles- Maurice de Talleyrand, celebre figura della
Rivoluzione francese e del periodo napoleonico, diede questa definizione
dei nobili esiliati, quando tornarono in patria con la Restaurazione
del 1815. Evitiamo che quella frase finisca per descrivere anche la
nostra generazione, il nostro tempo.: OGGI IN LIBRERIA
“Il tradimento” è l’ultimo libro di Federico Rampini, in libreria oggi per Mondadori