lunedì 14 novembre 2016

Repubblica 14.11.16
Primo vertice dei ministri degli Esteri dopo il voto pro Trump
Nato Ucraina Siria Iran
La Ue col fiato sospeso “L’alleanza con gli Usa si basi sui nostri valori”
di Andrea Bonanni

BRUXELLES. «L’Europa non deve essere preoccupata per l’elezione di Trump», dice il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni al termine di una cena informale, convocata dall’Alto rappresentante Ue Federica Mogherini, in cui con i colleghi ha discusso i risultati delle presidenziali americane. Ma l’incontro, cui non hanno partecipato per evidente dissenso il ministro britannico e ungherese, e per precedenti impegni quello francese e irlandese, è nato proprio dalla preoccupazione che serpeggia tra le diplomazie europee. E che oggi sarà al centro di un consiglio formale cui partecipano anche i ministri della Difesa per esaminare i piani di Mogherini per un rafforzamento della cooperazione militare europea. Preoccupazione che traspare anche dalle dichiarazioni del segretario generale della Nato Stoltemberg, secondo cui «andare da soli non è un’opzione, né per l’Europa né per gli Stati Uniti ». In effetti i punti di possibile divergenza tra Bruxelles e la nuova amministrazione Trump sono numerosi. Anche se alla fine dell’incontro Mogherini ha affermato: «Da qui viene un messaggio forte di amicizia e di partenariato che continua, ma sulla base di principi e interessi europei molto chiari».
Trump ha minacciato di rifiutare l’intervento militare degli Stati Uniti in difesa di un Paese della Nato che non contribuisca adeguatamente allo sforzo comune dell’Alleanza. Non è una polemica nuova. Molti presidenti hanno sollecitato un maggiore impegno degli europei in materia militare. Ma non era mai stata evocata in questi termini, mettendo in discussione il principio dell’intervento automatico in difesa di uno stato membro attaccato. Oggi gli Stati Uniti forniscono quasi il settanta per cento dei finanziamenti e delle capacità militari della Nato. Se si tolgono dal conto anche il Canada, la Turchia, la Norvegia, che non fanno parte della Ue, e la Gran Bretagna, che ne sta uscendo, i 24 Paesi dell’Unione europea che fanno parte dell’Alleanza forniscono, tutti insieme, meno del venti per cento dello sforzo di difesa comune.
Il frutto di questa sperequazione è stata finora una leadership indiscussa degli americani nella gestione della Nato. Leadership che si è tradotta anche nella mancata creazione di una capacità autonoma di difesa della Ue, a cui Washington è sempre stata ostile. Ora che Federica Mogherini, Alto responsabile Ue per la politica estera e di sicurezza, vorrebbe lanciare un processo per creare una vera Difesa europea, i governi dovranno valutare attentamente la sua proposta anche alla luce del possibile «divorzio » in sede Nato con gli Usa di Donald Trump.
Gli europei si sono ritagliati un ruolo di mediatori sulla crisi ucraina. Con il cosiddetto «formato Normandia», Angela Merkel e François Hollande sono riusciti a far sedere allo stesso tavolo il presidente russo Putin e quello ucraino, Poroshenko. I negoziati hanno portato agli accordi di Minsk e a una tregua nei combattimenti tra separatisti ucraini e milizie filo Kiev che ha già fatto almeno diecimila morti. Questo risultato è stato possibile perchè la Ue, nonostante le differenti sensibilità verso Mosca, ha saputo mostrare un fronte unito, votando sanzioni economiche che hanno duramente colpito l’economia russa. Ma anche, e soprattutto, perchè la posizione europea era sostenuta e appoggiata dagli Stati Uniti di Obama, che avevano affidato all’Europa il compito di mediare la crisi.
Ora la nuova amministrazione Trump sembra molto meno ostile nei confronti di Putin e della Russia. E potrebbe essere tentata di riconoscere a Mosca quella «sfera di influenza» sui Paesi limitrofi che il presidente russo reclama da tempo. Ciò potrebbe segnare il destino della Crimea, di fatto già annessa dai russi, e sancire una divisione dell’Ucraina lungo le linee di demarcazione del conflitto congelate dalla tregua. Col risultato che i Paesi dell’Est europeo, e in primo luogo i baltici, tornerebbero a sentire sul collo il fiato della potenza russa.
L’amministrazione Clinton- Obama era nettamente ostile al regime di Assad. Solo le perplessità degli europei avevano dissuaso il presidente americano dal bombardare Damasco, accusata di usare armi chimiche contro i ribelli. L’intervento militare russo in difesa del regime siriano ha salvato Assad ma ha portato ad un inasprimento delle relazioni tra Mosca e Washington. Gli europei, finora, si sono battuti per cercare di arrivare ad una intesa tra russi e americani che concentri l’azione militare contro l’Isis lasciando in sospeso ogni decisione sulla sorte di Assad. Ma se Trump, come alcuni osservatori temono, decidesse di lasciare mano libera ai russi in Siria, gli sforzi di mediazione europei per una soluzione negoziale del conflitto finirebbero nel cassetto delle buone intenzioni.
L’Europa si è molto battuta per arrivare all’accordo sul nucleare iraniano che consentisse di togliere dall’isolamento il regime degli ayatollah. Anche perchè le milizie sciite legate a Teheran svolgono un ruolo cruciale nella lotta contro l’Isis sia in Iraq sia in Siria e l’Iran avrà un ruolo chiave nella sistemazione geopolitica della regione. Anche su questo tavolo, l’amministrazione Obama ha seguito la linea europea. Ma ora Trump potrebbe ribaltare i giochi e, seguendo i suggeriementi del suo amico israeliano Netanyahu e della monarchia saudita, potrebbe chiudere ogni dialogo con Teheran. Per l’Europa sarebbe un’altra grave sconfitta diplomatica.