lunedì 14 novembre 2016

Corriere 14.11.16
L’impatto del fattore Trump sui fragili equilibri della Ue
di Enzo Moavero Milanesi

In Europa, l’elezione del presidente degli Stati Uniti d’America sta provocando reazioni inconsuete. Oltre alle usuali analisi del voto, c’è viva inquietudine espressa anche in modi espliciti (come dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker). Questo, da un lato, deriva dal fatto che svariati leader Ue si erano schierati con l’avversaria. Dall’altro, discende dalle oggettive questioni, evidenziate dalla dura campagna elettorale. Vale la pena di soffermarsi sulle principali, anche perché dalla risposta che riceveranno dipenderà buona parte dell’avvenire prossimo dell’Unione Europea e dei suoi Stati, specie di quelli la cui economia non si è ancora ripresa bene.
Un prima variabile è la dirompente carica di novità di Donald Trump. Non è un politico sperimentato sul campo, perché non è mai stato membro di un parlamento, né di un governo nazionale o locale. È un uomo d’affari di successo, che ha saputo porsi in sintonia con gli umori dell’elettorato, all’evidenza sfuggiti ai sondaggisti. Le nazioni europee, invece, sono guidate da politici di lungo corso, «professionisti» dei partiti e delle urne. C’è una netta asimmetria che graverà sui rapporti futuri, con incognite superiori ai precedenti avvicendamenti. Inoltre, va sottolineato il fattore età: gli Usa hanno scelto un uomo con una lunga esperienza di vita. Dunque, il dialogo si profila alquanto imprevedibile e sarà interessante seguire la dinamica dei rapporti personali. Chi, fra i politici europei di governo o aspiranti tali, ha più affinità di base o saprà velocemente costruire un’intesa, risulterà avvantaggiato e con lui il suo Paese.
Un altro snodo è costituito dalla precaria situazione dell’Ue: l’originario disegno lungimirante si sta sfarinando e non tiene il passo di un mondo radicalmente mutato da rivoluzione tecnologica, globalizzazione, crisi economica e finanziaria, massicci flussi migratori, sanguinosi conflitti, terro-rismo. I meccanismi decisio-nali sono arrugginiti e, so-prattutto, si rivelano fatali la disaffezione dei cittadini e la litigiosità fra i leader. Perso l’animo collaborativo dei fondatori, alcuni fra i protagonisti attuali privilegiano gli interessi nazionali alla costruzione del consenso su quello comune; ci sono fratture così profonde da determinare opzioni drastiche, come la Brexit. Ormai, gli Usa si trovano di fronte questa Unione Europea, e da qui nascono interrogativi nodali. Che idea ne ha il nuovo presidente? Come reagirà a bisticci e alchimie degli europei un businessman, attento ai fatti concreti, insofferente alle contorsioni della politica? E poi, riprendendo l’aforisma attribuito a Henry Kissinger, quale numero comporrà per telefonare all’Ue, visto che perfino la lettera con le congratulazioni di rito gli è arrivata a doppia firma? Per ora, sappiamo che ha subito parlato con i leader di Francia, Germania e Gran Bretagna, ma non con gli altri: cosa dedurne?
Su queste basi, America ed Europa affronteranno i temi concreti, nella complessa dialettica di chi è, al medesimo tempo, alleato e concorrente. Le questioni sono di grande rilievo: vediamone qualcuna. La difesa e la sicurezza: Trump ha detto che chiederà un maggior impegno, anche finanziario, agli Stati europei; i membri dell’Ue dovranno, allora, decidere se rendere efficace la labile azione comune o provvedere individualmente; in entrambe i casi, ci saranno maggiori spese. Le relazioni con la Russia: se gli americani le rilanciano, avremo tensioni nell’Ue, considerati i forti timori dei Paesi dell’Est. La tutela dell’ambiente e le intese internazionali (come quella sul clima, siglata a Parigi, un anno fa): gli intenti sembrano divergere, con implicazioni sensibili su ecologia, salute, costi energetici e industriali. Gli scambi transatlantici e in particolare, il trattato ad hoc (Ttip) su commercio e investimenti: alla luce dei preannunci, è inverosimile concluderlo; qualora poi ci fosse una «guerra» dei dazi, la situazione si complicherebbe. Le opzioni monetarie e tributarie: se negli Usa i tassi d’interesse non salgono e le imposte scendono, ne può scaturire uno stimolo alla crescita, al quale l’Ue faticherebbe a replicare, a causa dei suoi incompleti strumenti per agire; così, perdendo competitività. Le politiche keynesiane d’investimenti pubblici: non c’è paragone fra le opportunità dell’ingente bilancio federale americano (quasi il 25% del prodotto interno lordo, Pil) e quelle del mini bilancio Ue (1% del Pil). L’applicazione delle regole dei rispettivi ordinamenti: se non è accettata in un’ottica di reciproca lealtà giuridica, causa frizioni, soprattutto quando incide direttamente sulle aziende; come nelle recenti vicende, in America, di Volkswagen (standard d’inquinamento) e Deutsche Bank (norme finanziarie) e da noi, di Apple (illeciti aiuti statali) e Google (inchiesta antitrust). Le migrazioni: il fenomeno è planetario, investe Ue e Usa, ma quest’ultimi ne hanno sempre gestito meglio l’assorbimento; se dovessero ridurlo, potrebbero impennarsi gli arrivi in Europa, con drammatiche conseguenze. Insomma, una quantità di ulteriori, urgenti stimoli per l’Unione Europea; ma anche come italiani, dovremmo riflettere a fondo sull’intuibile impatto che ciascuno dei punti appena elencati ha per il nostro Paese.