lunedì 14 novembre 2016

Repubblica 14.11.16
Il trumpismo all’italiana e la destra senza leader
di Ilvo Diamanti

LEGA e Forza Italia, Forza Italia e Lega. Oggi sembrano distanti e distinte. Lega o Forza Italia. Forza Italia o Lega. La Lega di Salvini si è mobilitata per il No al referendum. A Firenze. La città di Renzi. Che una settimana fa, proprio a Firenze, alla Leopolda, ha presieduto la convention del PdR. Forza Italia, invece, si è riunita intorno a Stefano Parisi. A Padova. Dove, il giorno prima, è stato sfiduciato il sindaco leghista, Massimo Bitonci. Per la defezione, determinante, di due consiglieri di Fi.
COSÌ, Bitonci ha sostenuto che ci sono due Forza(e) Italia(e). Anche perché a Firenze, insieme a Salvini, manifestavano Toti, presidente — forzista — della Liguria. Ma anche Brunetta e la Santanché. Però è altrettanto vero che non c’è una sola Lega. Visto che Manuela Dal Lago, ex Presidente della Provincia di Vicenza, ex deputata, ex triumvira della Lega Padana, non ha rinnovato la tessera. Perché si sente lontana da questa Lega, che ha rinunciato all’indipendenza padana. E, per questo, lascia insoddisfatto il padre fondatore, Umberto Bossi. Una Lega Nazionale e lepenista. Antieuropea e anti-immigrati. Che, invece di marciare contro Roma, si è scagliata contro Bruxelles. Tuttavia, il problema di fondo, a Destra, appare proprio l’identità e la leadership. Della Destra. In particolare oggi, dopo la vittoria di Donald Trump negli Usa. Perché gli Usa costituiscono, comunque, la guida e il riferimento della politica globale. Tanto più in Italia. Per decenni, il confine dell’Occidente. Cioè, del Mondo ispirato e guidato dall’America. Alternativo al sistema socialista. Il baricentro impiantato a Mosca. Oggi non è più così. Da tempo ormai. Ma l’elezione di Trump ha accelerato e accentuato questo passaggio. In modo traumatico. Perché Trump guarda oltre l’Europa. E si rivolge direttamente alla Russia di Putin. Mentre marca maggiormente i confini interni. Nei confronti del Messico. E fra le popolazioni, vista l’importanza, per il risultato, del voto dei “bianchi”. Così, la distinzione fra Destra e Sinistra, in Italia, diventa ancor più problematica. Ma soprattutto nella Destra, dove convivono componenti e leadership molto distinte. Soprattutto dopo il declino di Silvio Berlusconi, in seguito alle dimissioni del suo governo, giusto cinque anni fa. Il 12 novembre 2011. Infatti, la Destra, meglio: il Centro-destra, in Italia, è stato improntato da Berlusconi. La sua “discesa in campo”, nel 1994, divise il (nostro) mondo in due. Fra Berlusconiani e Comunisti. Perché, sulle macerie del muro di Berlino, Silvio Berlusconi ricostruì il muro di Arcore. Puntualmente ricambiato — e confermato — dagli avversari. Che hanno diviso il mondo fra berlusconiani e anti-berlusconiani. In questo modo, peraltro, la Lega secessionista riuscì a divenire forza di governo. “Sdoganata” da Berlusconi. Che riuscì nell’impresa di “legare la Lega” con i post-fascisti di An. E di “unire”, così, il Nord con il Sud.
Oggi, però, è rimasto poco di quella stagione. Di quel progetto. Di quelle fratture. An si è disciolta nel PdL. Mentre il leader, Gianfranco Fini, è scivolato al Centro, insieme a Futuro e Libertà. Ai confini della Destra è rimasta Giorgia Meloni, con i suoi “Fratelli d’Italia”. Mentre la Lega e Fi faticano a tenere i loro elettori. Secondo i sondaggi — che, naturalmente, sbagliano, ma continuano ad essere considerati con timore dagli attori politici — Fi oggi si aggira intorno al 12 per cento. In crescita negli ultimi mesi. Ma 5 punti sotto il risultato delle europee. La Lega, invece, è stimata un po’ meno del 10 per cento. In aumento, rispetto alle Europee. Ma in calo significativo nell’ultimo anno, visto che a giugno 2015 il suo peso elettorale era valutato al 14 per cento. Il problema, per la Lega e per Forza Italia, è che la spinta anti-sistema, contro l’establishment e contro le èlite, in Italia, non è interpretata da loro. O meglio, non tanto da loro. Perché il posto di Trump, da noi, è già stato occupato da tempo. Dal M5s. Che, non a caso, nei sondaggi, è molto vicino al Pd, nel voto proporzionale. Ma, in caso di ballottaggio, prevarrebbe. Certo, fra gli elettori del M5s, Trump non appare popolare quanto presso la base della Lega e dei FdI. Perché l’elettorato del M5s è distribuito in modo trasversale da destra a sinistra passando per il centro. Mentre il sostegno a Trump, in Italia, fra gli elettori di centro-destra e di destra, (prima del voto Usa) appariva più che doppio, rispetto alla media (sondaggio Demos). Tuttavia, Trump non si è affermato perché ha attratto — specificamente — gli elettori di “destra”. Cioè, per ragioni “ideologiche”. Si è affermato, invece, perché ha intercettato il voto degli elettori “arrabbiati” (per usare un eufemismo) contro la politica, i politici e, soprattutto, le dinastie politiche — come i Clinton. Perché ha raccolto il consenso — e amplificato il dissenso — dei ceti medi in declino. E delle classi declinate da tempo. Insomma, per dirla “all’italiana”, Trump ha vinto perché si è presentato come l’anti- politico contro l’erede dichiarata della politica — tradizionale. Contro Washington, la capitale. Che, in Italia, non coincide più con Roma, dove, ormai, stazionano tutti i “politici”. Del Pd, ma anche di Fi, della Lega e del M5s. La capitale, ormai, è Bruxelles. Il nemico è l’Europa.
Per i soggetti politici di Destra, dunque, il problema è che, in Italia, lo spazio di Trump e del trumpismo risulta già occupato. Dal M5s. E da Grillo. Tuttavia, è probabile, anzi: certo, che tutti cercheranno di trarre spunto — e spinta — dalla “lezione americana”. Soprattutto in Italia. Così non mi sorprenderei se lo stesso Renzi tentasse di trumpizzarsi. Almeno un po’. Tanto più in caso di vittoria del No al referendum. In fondo, la “rottamazione” l’ha inventata lui. Potrebbe presentare Trump come un imitatore…