venerdì 11 novembre 2016

Repubblica 11.11.16
Uno spettro dagli Usa
di Massimo Giannini

IL SOLITO spettro si aggira per la solita Europa. Stavolta è il Vaffa collettivo contro le classi dirigenti, che prorompe dagli Stati Uniti e ora riecheggia. Il fantasma di Donald Trump incombe su di noi. La “lezione americana” è la stessa teorizzata dal filosofo polacco Zygmunt Bauman: la “solitudine del cittadino globale” genera la ribellione alle élite. Ecco la diagnosi, condivisa. Dov’è la terapia, concreta?
C’è una prima evidenza, che abbiamo capito.
TRA gli strappi secessionisti della Brexit e ora i rigurgiti isolazionisti del Cavaliere a stelle e strisce, i “dimenticati” e gli “incazzati” votano contro lo status quo. Quasi a prescindere, sommersi dal gorgo della globalizzazione economica (che crea nuove disuguaglianze riducendo il lavoro a merce fungibile, e deperibile) e della globalizzazione geografica (che crea vaste migrazioni, contaminando il territorio di “prossimità” forzose, e pericolose).
C’è una seconda evidenza, che abbiamo frainteso. Si dice: votano con la pancia. Ma ormai è anche la testa che ti fa votare contro l’establishment, se perdi il lavoro, non hai più le garanzie di un welfare minimo, il tuo salario si riduce e l’immigrato diventa il tuo nemico, in una guerra tra poveri in cui ognuno combatte e, spesso, muore solo. È questa la “sicurezza” che dobbiamo difendere? Il “miliardario sessista” ha espugnato l’America profonda della “Rust Belt”, la cintura della ruggine, dove l’import dalla Cina ha bruciato due milioni di posti di lavoro. I benpensanti l’hanno chiamata “flyover country”: la nazione “da sorvolare”. Popolata di gente rabbiosa: da guardare dall’alto, come fa ogni potere che ha perso il contatto con la realtà, e che quindi può solo perdere se stesso.
C’è una terza evidenza, che abbiamo ignorato. Quante sono le “Rust Belt” e le “flyover country” che la politica non ha voluto vedere? Per conoscerle non basta un trattato di sociologia da leggere in aereo. Devi atterrare per strada, in mezzo alla gente. Devi “prendere il tram ogni giorno”, come ha scritto ieri Paolo Rumiz. Ma chi l’ha fatto davvero, in questi anni, in Europa e anche in Italia?
C’è infine una quarta evidenza, che abbiamo eluso. La rivolta contro le élite si spiega con la fine del lavoro come diritto, il tramonto dello Stato sociale come tutela, la crescita dell’immigrazione come minaccia. A questi problemi complessi le forze populiste (Trump o Le Pen, Grillo o Salvini) danno risposte facili. Frequentemente bugiarde, generalmente impercorribili. Ma con quali risposte alternative, e soprattutto “competitive”, le stiamo sostituendo? Questo è il passo avanti che ora si impone alle forze progressiste. Urgono “cure” immediate, per le tre ferite aperte sul corpo vivo della società occidentale.
La globalizzazione, la de-industrializzazione, il dumping salariale: siamo tutti d’accordo che il protezionismo e i dazi non sono la soluzione. Ma allora cosa facciamo per difendere le nostre produzioni, per evitare che interi settori industriali smobilitino, o che milioni di persone debbano campare di voucher? Quante Piombino e quanti Sulcis, quante Almaviva e quante Ilva si consumano ogni giorno? Quanti “altrove” sceglie la politica, sempre presente dove ci sono nastri da tagliare, mai dove ci sono aziende da chiudere? E quante volte ancora dovrà piangere la sinistra, scoprendo che l’ennesimo presidio storico dell’operaismo “rosso”, Monfalcone, è appena caduto tra le braccia della Lega?
Il welfare, l’assistenza, la salute: siamo tutti d’accordo che le tasse devono diminuire, ma come si abbatte la pressione fiscale, senza ridurre ancora il perimetro di uno Stato sociale che continua a dare poco ai padri e niente ai figli? “Bruciamo la Fornero” e “reddito di cittadinanza”, gridano camicie verdi e pentastellate. Cosa risponde il governo riformatore? La manovra appena varata è “contro i giovani”, dice Tito Boeri: 7 miliardi ai pensionati (in modo indiscriminato e per evidenti scopi elettorali), poche centinaia di milioni ai millennials (proprio quelli che in America hanno sostenuto Clinton meno di quanto lei sperasse). È questa la strada?
Infine: l’immigrazione. Siamo tutti d’accordo che l’accoglienza è un principio di civiltà irrinunciabile. In Italia finora sono sbarcati 172mila migranti (139mila l’anno scorso). “Respingiamoli in mare”, strepitano leghisti e grillini. Cosa rispondono i democratici? Cosa facciamo, in attesa che un’Europa vergognosa (ostaggio della rabbia xenofoba di Orbán), renda operativi i ricollocamenti? Come rassicuriamo i cittadini impauriti nelle periferie, in cui si concentra un flusso in entrata non “gestito”, ma ormai solo “parcheggiato”, a spese della collettività, nei Cara, negli hotspot e nelle strutture temporanee degradate e incustodite? Quale leader nazionale si è affacciato a Gorino, a parlare con le famiglie che hanno sbarrato il passo a un pullman di dodici donne immigrate?
Denunciare le colossali bugie del “pifferaio” populista non basta più. L’orchestra riformista, se ce n’è ancora una da qualche parte in Europa, deve suonare la sua musica. A meno che non ripeta il paradossale “spartito” di Brecht: «Il Comitato centrale ha deciso, il popolo non è d’accordo, il Comitato centrale ha deciso di nominare un nuovo popolo». Avanti così, fino alla prossima “lezione”. Non più americana, ma stavolta francese, tedesca, o persino italiana.