Repubblica 1.11.16
Quel grazie del Papa a Lutero
500 anni dopo, in Svezia una storica dichiarazione comune
di Roberto Toscano
L’INCONTRO
di papa Francesco a Lund, in Svezia, con la Federazione luterana
mondiale — un incontro di dialogo e di preghiera comune — potrebbe
essere visto semplicemente come un passo in più nel cammino ecumenico
iniziato da papa Giovanni XXIII con il Concilio Vaticano II e continuato
con i suoi successori. Si tratterebbe però di un’interpretazione
riduttiva che non ci permetterebbe di cogliere a pieno il senso profondo
della svolta che papa Bergoglio sta imprimendo al cammino bimillenario
della Chiesa cattolica.
È
VERO infatti che l’impegno ecumenico dei pontefici procede lungo una
serie di documenti (pensiamo in particolare all’enciclica di papa
Wojtyla Ut unum sint), incontri, gesti di accoglienza e accettazione,
appelli non solo alla tolleranza ma alla fraternità — ma il viaggio di
papa Francesco in Svezia segna un importante salto di qualità e
soprattutto conferma, al di là della dimensione ecumenica, il suo
coerente disegno di riforma.
Riforma, appunto. Lo scorso giugno,
in una conversazione con i giornalisti sull’aereo che lo riportava a
Roma dopo il viaggio in Armenia, il Papa aveva definito Lutero «un
riformatore che protestava contro corruzione, mondanità, attaccamento ai
soldi e al potere». In un’intervista rilasciata alla rivista dei
gesuiti svedesi alla vigilia del viaggio in Svezia, Bergoglio aveva
confermato questa valutazione, preannunciando che a Lund avrebbe fatto
qualcosa di più che abbracciare i luterani come fratelli separati. Non
solo infatti papa Francesco ha ribadito che «all’inizio quello di Lutero
era un gesto di riforma in un momento difficile per la Chiesa», ma ha
aggiunto che Lutero «ha fatto un grande passo per mettere le parole di
Dio nelle mani del popolo». Non si tratta quindi soltanto di individuare
le radici della Riforma nel rigetto della corruzione del costume
ecclesiastico, a partire dal vergognoso mercato delle indulgenze, ma di
andare oltre la semplice protesta riconoscendo il valore di uno degli
aspetti centrali della Riforma luterana: la presa di posizione a favore
della diffusione della conoscenza diretta dei Vangeli (resa possibile
dalla diffusione della stampa) da parte dei fedeli. Un riconoscimento
che è nello stesso tempo un’autocritica, se si pensa quanto a lungo la
Chiesa cattolica si oppose alla lettura dei testi sacri senza il proprio
filtro e la propria mediazione opponendosi anche alle loro traduzioni
dal latino.
A Lund papa Bergoglio è andato anche oltre, non solo
deplorando — nella dichiarazione congiunta — «il fatto che luterani e
cattolici hanno ferito l’unità visibile della Chiesa», ma esprimendo
gratitudine «per i doni spirituali e teologici ricevuti attraverso la
Riforma».
Non sorprende, di fronte alla radicalità di queste
posizioni, che all’interno della Chiesa non manchino le perplessità,
anche ai più alti livelli della gerarchia cattolica. È di solo un anno
fa la dichiarazione di Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della
Congregazione per la dottrina della fede (quello che una volta si
chiamava Sant’Uffizio): «Noi cattolici non abbiamo alcun motivo di
festeggiare l’inizio della Riforma che portò allo scisma della
cristianità occidentale ». Ma Bergoglio non festeggia la rottura. Si
focalizza invece sulle ragioni della rottura, e lo fa con quello sforzo
di obiettività e quella disponibilità all’autocritica in assenza della
quale qualsiasi dialogo, compreso quello ecumenico, si riduce a un
esercizio bene intenzionato ma superficiale.
Il riconoscimento,
cinquecento anni dopo la rottura dell’unità del cristianesimo
occidentale, dei valori insiti nella Riforma non significa certo, per il
Papa, la rinuncia alla funzione della Chiesa e al mandato del
successore di Pietro. Non siamo in presenza di un “papa protestante” ma
di un pontefice che, proprio perché consapevole del danno della
divisione, sa che essa potrà davvero essere superata non con la
riaffermazione di un’autoreferenzialità sia religiosa che culturale, ma
con la consapevolezza del fatto che alla radice della frattura ci sono
anche proprie colpe e proprie carenze, soprattutto l’incapacità di
venire incontro alle permanenti esigenze di rinnovamento.
Quella
di Lutero fu in effetti una rivoluzione prodotta dall’incapacità della
Chiesa di riformarsi: in altri termini, la Riforma protestante si può
considerare come conseguenza del rifiuto di una riforma da parte della
Chiesa cattolica. L’unità non solo del cristianesimo, ma della
cristianità occidentale — scongiurando una rottura che ebbe come
conseguenza le guerre di religione che a lungo insanguinarono l’Europa —
avrebbe infatti potuto essere preservata se avesse prevalso la spinta
al rinnovamento che prima di Lutero fu promossa all’interno della Chiesa
da pensatori come Erasmo da Rotterdam.
Erasmo cercava di
conciliare la modernità (all’epoca, quella di un Rinascimento radicato
nella humanitas classica) con la pietas cristiana; si opponeva alla
guerra e alla pena di morte; denunciava la concezione di una religione
ridotta alle pratiche esterne e non fondata su virtù come l’umiltà, il
perdono e la compassione; attaccava con passione le prevaricazioni dei
forti contro i deboli; esaltava la virtù della tolleranza; denunciava il
decadimento morale e la ricchezza del clero.
Venne accusato — non
a torto — di aver posto le basi intellettuali della Riforma, ma visse e
morì da cattolico, difendendo come istituzione una Chiesa che pure
criticava aspramente per le sue mancanze e i vizi del suo clero. Non
seguì Lutero, pur rispettandolo, per una fondamentale ragione teologica:
la difesa del libero arbitrio contro la concezione luterana della
insignificanza della volontà umana di fronte alla volontà di Dio e alla
sua imperscrutabile grazia, ma anche perché si ritrasse di fronte alla
prospettiva di una spaccatura dalle prevedibili atroci conseguenze. E si
tratta anche di una differenza di temperamenti e di visioni generali
anche al di là del dato teologico: lo scambio epistolare fra Erasmo e
Lutero costituisce uno dei più straordinari documenti del perenne
confronto fra riformisti e rivoluzionari.
Non sembra oggi
azzardato definire “erasmiana” la visione che della Chiesa ha papa
Francesco, con il suo rifiuto della guerra, l’accento sulla
misericordia, l’indignazione nei confronti dei “mercanti nel tempio” e
dell’effetto inquinante che il denaro può avere sulla stessa Chiesa.
Ma
il dialogo di papa Francesco con i luterani va visto anche sotto un
altro aspetto, quello della assoluta necessità per papa Bergoglio di
scindere l’empio, scandaloso legame fra religione e violenza. Oggi si
parla di Islam e della minaccia che le sue versioni violente e
integriste proiettano non solo sul Medio Oriente ma anche a livello
globale, ma sarebbe assurdo da parte nostra dimenticare i gradi di
disumana ferocia messi in atto in Europa per oltre un secolo sotto i
vessilli di opposte interpretazioni dello stesso messaggio religioso,
quello cristiano. Si può certamente ritenere che accelerando i tempi del
riavvicinamento con i luterani Bergoglio intenda avviare una
ricomposizione della comunità cristiana (sulla base — lo ha precisato —
della preghiera congiunta e del comune impegno umanitario piuttosto che
di una convergenza teologica e liturgica) ma anche dimostrare che non vi
è alcun motivo per ritenere inevitabile che la diversità religiosa
implichi mutuo disconoscimento, disprezzo, rifiuto, violenza. E che il
metodo del dialogo e del riconoscimento dell’Altro, per quanto
inconciliabili appaiano le rispettive posizioni, vale sempre.
Si
conferma così che per papa Bergoglio riforma interna e visione del ruolo
della Chiesa nel mondo contemporaneo sono profondamente legate. Esse si
ispirano entrambe a una visione sostanzialmente ottimista dell’umanità e
alla necessità di respingere nello stesso tempo la sterile chiusura
nella conservazione e la strada, spesso violenta, della rottura
rivoluzionaria e di impegnarsi nel paziente cammino di una costante
riforma.
Nel rendere omaggio al valore dell’originario intento di
rinnovamento che ispirò Lutero, papa Francesco ha sintetizzato quella
che è la sua convinzione più profonda: Ecclesia est semper renovanda.