Pagina 99 26.11.2016
«il populismo di Bergoglio più eversivo di Trump»
di Domenico Lusi
La parola popolo è tra le più usate da Bergoglio, dopo Dio e chiesa.«Questo non deve stupire», sostiene Loris Zanatta,professore di storia dell'America latina all'università di Bologna e autore de La nazione cattolica. Chiesa e dittatura nell'Argentina di Bergoglio (Laterza, 2015). «Francesco può a tutti gli effetti essere definito un papa populista, se si usa il termine come strumento analitico e non nel senso negativo a cui siamo abituati. Il suo popolo non è però quello della tradizione illuminista, ma è il popolo della tradizione latinoamericana di cui il peronismo è stato il più tipico caso: una comunità organica, riflesso della volontà divina. Una sorta di "popolo mitico", come lo ha definito il papa». Da questo punto di vista il populismo di Bergoglio presenta similitudini con quello di Donald Trump. «Entrambi», osserva Zanatta, «condividono la critica radicale della globalizzazione, evocano un popolo unito, in armonia, minacciato dalla disgregazione sociale. Evocano un mondo che va a rotoli e promettono una redenzione: protezione, un senso d'identità perduta, un senso di destino ». Ciò che li allontana è il tipo di salvezza: «Bergoglio è per la globalizzazione della solidarietà, un ritorno a un'antica civiltà cattolica in cui il popolo era intriso di valori evangelici. Una comunità organica tipica della tradizione latinoamericana visceralmente antiliberale, come tutti i populismi latini e cattolici, che siano Chavez, Peron, Castro o Podemos in Spagna. Un populismo che nelle estreme conseguenze può sfociare nel totalitarismo». Diverso il mondo anglosassone. «Per quanto radicale, Trump propone il ritorno alla grande America, al mito di un popolo iper-liberale e individualista che non tollera i vincoli imposti dallo Stato e che però non ha alternativa alla democrazia liberale. In tal senso, per la democrazia liberale il populismo del papa è, sulla carta, più eversivo di quello di Trump». Anche il binomio malattia/corpo ricorrente nei discorsi di Bergoglio, osserva Zanatta, «viene dal cattolicesimo nazional- cattolico argentino, imbevuto di una visione organicistica in cui ogni individuo è sottomesso alla collettività, tutto è in armonia per volontà divina e dove i mali del mondo sono visti come attentati alla salute di quel corpo. La metafora del mondo come corpo malato, a causa dell'allontanamento da Dio verso il secolarismo, è il presupposto apocalittico della redenzione. Da qui i continui riferimenti del papa al cambiamento. Una visione tipica dei monoteismi che Francesco esaspera, trasponendola sul piano sociale ed economico». Per Zanatta questa concezione «è preoccupante perché tende a sottoporre i diritti dell'individuo al benessere di una collettività, chiamata popolo, che non lascia spazio al pluralismo e riduce la vita politica e sociale a un'eterna lotta tra bene e male, una guerra di religione costante. Non a caso il papa non parla mai della dimensione politico-istituzionale, di democrazia, diritti individuali, Stato di diritto». Eppure –dai gay al perdono per l'aborto – Bergoglio appare più aperto dei predecessori. «Dal punto di vista dei diritti e del riconoscimento dell'appartenenza alla chiesa di categorie prima escluse», ammette Zanatta, «il papa è di certo più "liberale". Ma attenzione. Per Bergoglio la cattolicità è un fattore di organizzazione del mondo. Se per Ratzinger, cresciuto in Germania, la chiesa è una parte minoritaria di una società ormai secolarizzata che va difesa nella sua ortodossia, un gruppo di pochi ma puri, per Francesco la chiesa deve includere tutti per plasmare il mondo sulla dottrina cattolica. Ratzinger era più tollerante e rispettoso del pluralismo, mentre Bergoglio è fautore di una riconquista cristiana assai meno tollerante verso la secolarizzazione ».