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99 26.11.2016I
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Woytyla:
il pastore che pensa alla vita. Tutto il contrario di Wojtyla, che l
duro, il colto, il populistala
metamorfosi di PietroCosa
ci dicono le parole dei papi, sempre più popVaticano
| Il potere dell’Istituzione in Wojtyla.L’Europa
cristiana e il logos difesi da Ratzinger.La
richiesta di cambiamento e il continuo ricorso al popolo di
Bergoglio.I
discorsi dei tre Pontefici rivelano come è cambiata la Chiesa. E la
società a cui si rivolgedi
Paolo Bottazzini e Giordano ZambelliVediamo
la verità come in uno specchio: ovvero un’immagine confusa,
deformata. È dai tempi di Paolo di Tarso che la tradizione cristiana
invita tutti gli uomini a scoprire nella metafora dello specchio il
riflesso della fede. Certo, ma come possiamo interpretare la verità?
Con la parola. Perché la verità deve esser rivelata. «In principio
era la parola» scriveva Giovanni all’inizio del suo Vangelo. E la
parola per eccellenza che parla agli esseri umani è quella
dell’autorità suprema della Chiesa: il papa. Ecco perché smontare
il linguaggio di un papa serve a conoscere gli oggetti delle sue
enunciazioni, le intenzioni, i destinatari. Abbiamo provato a farlo,
per cogliere il ritmo della trasformazione degli ultimi decenni,
mettendo sul tavolo anatomico del linguista cinque discorsi
pronunciati dagli ultimi tre pontefici, Karol Józef Wojtyla, Joseph
Ratzinger e Jorge Mario Bergoglio, in circostanze simili. Il discorso
di insediamento; un discorso particolarmente significativo rivolto
alla Curia romana; un famoso discorso-denuncia molto acceso e
discusso; un discorso pronunciato di fronte ai fedeli del proprio
Paese o comunque relativo alla propria patria; infine un discorso
importante tenuto fuori Roma. Nella stesura di queste orazioni si
inscrivono sia la traccia della società cui sono indirizzate sia la
personalità dell’autore. D’altra parte, la voce del pontefice
pronuncia le parole dell’ultima autorità universale rimasta sul
pianeta.
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Ratzinger:
la Chiesa al primo posto Nel momento in cui un papa si rivolge alla
Curia romana l’evangelizzazione passa in secondo piano. Quando
parla ai cardinali il pontefice fa emergere le sue intenzioni
politiche. E qui è interessante, perché se il soggetto del discorso
è la Chiesa intesa come istituzione, il modo di tematizzarlo è un
indice della tempra del papa. Solo Ratzinger chiama la cosa con il
suo nome e utilizza il lemma Chiesa con più frequenza degli altri
(33 volte). Nel definire il perimetro di questa istituzione,
Benedetto XVI ricorre a due chiavi di interpretazione del suo
statuto, che ritroviamo nei termini Concilio e fede. Quindi nel
definire gli interlocutori della Chiesa si rivolge al mondo, termine
che ricorre molto più di quanto ritorni il lemma Dio. È, insomma,
un papa mondano, che tende a riportare quaggiù sulla terra le cose
di lassù.
guarda in alto. Nei suoi discorsi subordina il riferimento alla
Chiesa a quello indirizzato a Dio – richiamato il doppio delle
volte – e collocato in posizione dominante sul testo. L’unità
degli uomini, siano essi religiosi o laici, avviene sotto il mandato
dell’autorità più alta nella Grande Catena dell’essere. Le 36
occorrenze del designatore Dio denunciano una strategia retorica
consapevole da parte di Wojtyla, solitamente più parco in questo
genere di invocazioni. O meglio: sembra che quando parla davanti alla
Curia invochi Dio molto più di quanto faccia al cospetto dei fedeli.
Come se le minacce provenienti da vescovi e cardinali richiedessero
maggiore prudenza. Eppure, per esperienza, Wojtyla avrebbe potuto
temere di più le folle che i porporati. La prospettiva si rovescia
quando il pontefice si rivolge al mondo esterno. Il destinatario
immediato sono le adunate di fedeli presenti all’omelia, il
bersaglio è la secolarizzazione della cultura contemporanea,
l’indirizzo finale è quello dei potenti della Terra. La parola
chiave del discorso di Wojtyla è vita: nel suo testo compare 77
volte, ed è il soggetto di gran parte dei suoi enunciati. La sua
riflessione si sviluppa in un momento di crescita economica e di
trionfo dei valori mondani, riconducibili al successo professionale,
al prestigio sociale, all’edonismo morale. Il linguaggio del papa è
lo specchio capovolto della società cui si rivolge: propone
un’interpretazione diversa dell’esistenza, quella della coscienza
(15 volte), suggerendo che la verità (16 volte) non sia quella che
appare nella concretezza dei sensi e del qui-e-ora. Ora l’appello a
Dio, convocato 36 volte, acquista il senso pieno che ricopre nel
pensiero di Giovanni Paolo II: è anzitutto il pastore (26 volte),
poi anche padre (19 volte), che accompagna – nell’immanenza della
vita nel mondo – i giovani alla verità.
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Bergoglio:
la sofferenza al centro. Nel discorso di Bergoglio invece la Chiesa è
confinata a un ruolo minore. Protagonista è la metafora della
malattia, in generale l’allegoria del corpo che soffre. Se si
sommano le 38 occorrenze dei lemmi Cristo, Chiesa e Dio non si riesce
ancora a bilanciare la frequenza del dizionario che allude al
malessere fisico. Papa Francesco ama indulgere al linguaggio figurato
della vita materiale nella sua dimensione quotidiana, con le immagini
della famiglia e dei suoi ruoli, e con quelle dell’esistenza
corporale di ogni individuo. La sua retorica punta sull’empatia, e
in questo senso è popolare poiché mira alla persuasione attraverso
il consenso emotivo. Ognuno ha una casa e un corpo, e la loro
intimità affrontata nelle parole del papa diventa lo specchio
visibile di ciò che deve essere l’unità della Chiesa con i suoi
fedeli. Se fosse un semplice politico, gli analisti non indugerebbero
nel chiamarlo populista – o meglio, come spiega lo studioso Loris
Zanatta, andrebbe definito peronista. Il mondo su cui si affaccia
Bergoglio soffre il fallimento della promessa di prosperità
elaborata ai tempi di Giovanni Paolo II: il suo discorso è la
rotazione dello specchio puntato contro la società dal suo
predecessore. È il papa più politico: la chiave di volta è la
richiesta di cambiamento, ribadita 28 volte, sulle esigenze di casa,
giustizia, pace, diritti e lavoro (tutte ribadite tra 10 e 11 volte),
formulate dai popoli della terra. È anche il papa dell’immanenza:
la sua voce si leva contro il potere della finanza, tanto che nel suo
dizionario trova ospitalità anche la nozione di economia, che i suoi
predecessori trascuravano del tutto.
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Ratzinger
La presenza di Dio nel mondo Se Bergoglio parla con parole semplici,
comprensibili e capaci di arrivare al cuore e alla mente di tutti i
fedeli, Ratzinger sceglie un registro più “alto”, come se si
rivolgesse agli esponenti d’una Repubblica delle Lettere. Il focus
del suo discorso è l’Europa, con particolare attenzione ai valori
che la rendono una comunità non solo economica. La loro portata
culturale è universale e si fonda sull’identità cristiana. Data
la levatura intellettuale di Benedetto XVI, il dizionario è molto
vario (il 44,4% delle parole compare una volta sola, contro il 24% di
Wojtyla, e il30% di Bergoglio), con la struttura sintattica più
complessa dei tre. Nei discorsi rivolti a popoli specifici, il
protagonista dell’orazione per Wojtyla è ancora una volta la
Chiesa. Per Bergoglio e per Ratzinger invece il soggetto è Dio, che
per Benedetto XVI si manifesta come parola e come cultura, mentre per
Francesco si rivela con i tratti domestici del fratello, della madre,
del figlio e del sangue. La Chiesa, la cultura, la famiglia e il
corpo sono la sequenza attraverso la quale i papi hanno suggerito di
cercare la presenza di Dio nel mondo, hanno proposto di sentirla,
hanno chiesto obbedienza e solidarietà alle parole del pontefice –
promettendo in cambio un’identità interiore e una dignità sociale
per ciascuno. La Chiesa e il cambiamento Wojtyla tenta di ruotare il
senso del termine vita in una direzione trascendente, che orienti la
ragione stessa dell’esistenza individuale e collettiva della
comunità verso una giustificazione superiore. In questa direzione
deve ritrovarsi anche il valore e il potere della Chiesa come
istituzione. Ratzinger rimuove la suggestione della chiamata celeste
dal ruolo della comunità cristiana, per riconsegnarlo alla diligenza
dello studio e alla pazienza del dialogo. Il significato della vita è
la ricerca, il senso dell’essere emerge dal primato delle radici
della cultura europea: il logos, l’argomentazione, il libro.
Bergoglio è un politico missionario: sa che lo spazio per la vita
oltremondana si estende sul margine che la fatica per la
sopravvivenza lascia alla dignità dell’esperienza terrena. Conosce
la pragmatica linguistica dei gesuiti ed è consapevole di come si
fanno cose con le parole, prima che discorsi: alla Chiesa non basta
l’unità e il coraggio dei fedeli, né l’e g emonia nella
Repubblica delle Lettere europea o nella Città di Dio. Serve il
cambiamento radicale, perché tutto resti come prima.
I
TESTI ANALIZZATINumero
di ricorrenze di alcune parole-chiave pronunciate dai tre Pontefici
in quindici importanti discorsi. Quello di insediamento.Discorso
alla Curia romana: Wojtyla, 22 dicembre 1986 (spirito di Assisi);
Ratzinger, 22 dicembre 2005 (ermeneutica del Concilio); Bergoglio, 22
dicembre 2014 (malattie spirituali della Curia).Un
discorso-denuncia: Wojtyla, Denver, agosto 1993 (minacce alla vita);
Ratzinger, marzo 2007 (apostasia dell’Eu - ropa); Bergoglio, Santa
Cruz della Sierra, luglio 2015 (questa economia uccide).Discorso
relativo alla propria patria: Wojtyla, Varsavia 2 giugno 1979 (lo
spirito rinnovi la faccia di questa terra); Ratzinger, Friburgo 25
settembre 2011; Bergoglio, 12 dicembre 2014 (messa per la Madonna di
Guadalupe).Un
discorso fuori Roma: Wojtyla, Havana21 gennaio1998(Cerimonia
dibenvenuto); Ratzinger, Parigi 12 settembre 2012; Bergoglio, 8
luglio 2013 omelia a Lampedusa.L’analisi
dei dati è stata condotta da Giordano Zambelli