Pagina
99 19.11.2016
se
la ricerca fa male ai ricercatori
Salute
| Esaurimenti, depressioni e alcolismo.
Ecco
quanto è stressante la vita degli studiosi
di
Nico Pitrelli
Le
problematiche di salute mentale nel mondo accademico sono più
diffuse di quanto si potrebbe pensare, soprattutto tra i ricercatori
più giovani. È quanto emerge da alcune storie di vita in
laboratorio raccolte in un recente articolo apparso sulla rivista
Nature. Le testimonianze degli intervistati restituiscono uno
scenario dominato da continue pressioni per pubblicare il più
possibile e su giornali di alto profilo, una strenua competizione per
accaparrarsi i finanziamenti, crescenti frustrazioni legate alla
difficoltà di trovare posizioni adeguate, giornate lavorative che
durano dalle 10 alle 12 ore, sabato e domenica inclusi. Non sorprende
che in tale contesto possano insorgere depressione, ansia, insonnia,
disturbi dell’alimentazione, problemi di alcolismo. In alcuni casi,
purtroppo, si arriva anche a tentativi di suicidio. Il quadro è
particolarmente preoccupante tra gli studenti di dottorato e più in
generale tra chi si trova ai primi anni di carriera, anche per
l’accresciuta insicurezza lavorativa rispetto al passato. I pochi
lavori scientifici a disposizione sul disagio psicologico dovuto ai
ritmi pressanti della ricerca confermano i resoconti aneddotici. Nel
2013, uno studio esteso a 14.000 universitari britannici e pubblicato
dalla University and College Union riportava che gli accademici
sperimentano uno stress lavorativo maggiore rispetto al resto della
popolazione. Sempre nel 2013, un’indagine svolta su più di 400
ricercatori in medicina olandesi, e pubblicata sulla rivista Plos
One, concludeva che circa il 25 per cento delle persone prese in
esame soddisfaceva i criteri di burnout, vale a dire della sindrome
da esaurimento emotivo. Anche specifici argomenti di ricerca possono
indurre pensieri cupi e depressivi, come accade a diversi scienziati
ambientali angosciati dalle implicazioni del cambiamento climatico.
Come già sottolineato in un articolo del Guardian del 2014, che
animò un inaspettato e partecipato dibattito, nelle università è
ancora troppo diffusa una «cultura dell’accettazione » rispetto
alle problematiche di salute mentale. Le eccezioni non mancano, ma
occorre superare l’approccio machista prevalente per realizzare
ambienti accademici che si prendano cura di chi è in difficoltà.