La Stampa 8.11.16
“Gli Usa senza peso. Queste elezioni non contano nulla”
Gay Talese: eravamo una forza positiva nel mondo ora nessuno ci rispetta. Il presidente non ha potere
di Paolo Mastrolilli
«Queste elezioni non contano niente, perché ormai il presidente degli Stati Uniti non ha più potere».
Gay
 Talese ha costruito la sua carriera di scrittore sulle provocazioni, e 
quindi non vede perché dovrebbe smentirsi proprio ora, anche se molti 
dicono che lo scontro fra Trump e Clinton potrebbe cambiare la faccia 
del Paese e del mondo.
Perché queste elezioni secondo lei non contano niente?
«Perché
 la politica ha perso peso nella società. Mi sembra un fatto evidente. 
Le nostre vite vanno avanti indipendentemente dalle decisioni dei 
politici, perché ormai sono altri i fattori che determinano le scelte, 
il futuro, e la qualità della nostra vita, dalla tecnologia globale alle
 questioni più locali».
E il Presidente degli Stati Uniti non ha alcun potere di influenzare i nostri destini?
«Ma
 lo avete visto Barack Obama? Sembrava l’uomo nuovo, incarnava le virtù 
che avrei voluto nel politico capace di guidarci verso il futuro, e 
invece non è riuscito neppure a chiudere la prigione di Guantanamo. Se 
il capo della Casa Bianca non ha la forza di produrre anche un minimo 
cambiamento tipo questo, come possiamo pensare che abbia la capacità di 
influenzare le grandi tendenze della storia? Il potere della politica, e
 in particolare quello del presidente degli Stati Uniti, che un tempo 
chiamavamo leader del mondo libero, sono decisamente diminuiti. E questa
 campagna, nel frattempo, ha parlato del nulla».
Secondo lei quale doveva essere il tema principale?
«Il
 declino del peso degli Stati Uniti nel mondo. Negli Anni Cinquanta, 
subito dopo la Seconda guerra mondiale, io ero soldato nelle forze 
armate. Mi schierarono prima in Germania e poi in Italia, il Paese da 
cui era emigrato mio padre calabrese all’epoca del fascismo. Tutti ci 
volevano bene, tutti amavano gli Usa. Eravamo una forza positiva nel 
mondo, e andare in giro con la divisa era un orgoglio. Ora invece 
nessuno ci rispetta: persino le Filippine si permettono di sfotterci».
Come è accaduto questo declino?
«Allora
 eravamo una forza positiva, che cercava di stabilizzare il mondo e 
orientarlo verso valori democratici condivisi. Poi però abbiamo deciso 
di intervenire ovunque, per imporre i nostri interessi, stabilendo chi è
 buono e chi è cattivo. Questo ha provocato una reazione negativa 
globale contro gli Stati Uniti, ma nessuno ne ha parlato durante la 
campagna presidenziale».
Da cosa nasce invece il risentimento 
interno, che ha spinto tanto la candidatura di Trump tra i repubblicani,
 quanto quella di Sanders tra i democratici durante le primarie?
«Non
 avete notato l’insoddisfazione della gente nelle strade? Gli americani 
della classe media faticano ad arrivare alla fine del mese. La riforma 
sanitaria di Obama è stata un disastro, e molta gente è ancora costretta
 a decidere se mangiare, o andare dal medico. A causa di questa crisi 
economica, poi, anche le tensioni razziali sono riesplose, con i neri 
sempre emarginati, e i bianchi terrorizzati dalle minoranze che 
conquistano il Paese».
Alcuni osservatori descrivono la sfida tra 
Clinton e Trump come la più importante dei tempi moderni, perché 
considerano il candidato repubblicano pericoloso per la libertà e il 
modello di vita americano. Hanno torto?
«Purtroppo sì».
Come purtroppo? Lei vorrebbe che la libertà e il modello di vita americano fossero distrutti?
«No.
 Dico purtroppo nel senso che neppure Trump riuscirebbe a fare quello 
che ha promesso, o minacciato. Chiunque verrà eletto verrà paralizzato, 
dal Congresso, e dai veti incrociati dei vari poteri in concorrenza. Il 
risultato è che nulla si muoverà e il Paese resterà impantanato».
Non è una visione troppo pessimistica?
«Sono vecchio. Morirò senza veder tornare l’America amata da tutto il mondo, in cui ero cresciuto da bambino».
 
